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Io sono Graziella

di Giuseppe Anthony Di Martino

 

Abbiamo incontrato Giuseppe Anthony Di Martino (1995), artista nato a Ispica e di base a Bologna, autore dello short movie Io sono Graziella (2018-2022) premiato al United Artist International Film Festival 2023, al New York Movie Awards 2023, al Cine Paris Film Festival, all’Hollywood Gold Awards 2023, e Near Nazareth Festival 2023 (Semi finalista).

 

 

Il film di Di Martino percorre quella che sembrerebbe una giornata tipo della nonna, che si svolge in realtà in diversi anni di riprese. Un progetto a lungo termine controcorrente che redime la fine e la sua convivenza con gli oggetti che rimangono, i rituali che si ripetono ciclicamente incondizionatamente.

Graziella è la donna di casa, a capo della famiglia e con la famiglia sulle spalle. La sua celebrazione come soggetto è esaltazione di un modello matriarcale celato ma tangibile. La sua esaltazione come diva e madonna familiare è resa dall’accostamento all’immagine di Cristo, accerchiata dai suoi attributi-feticcio in una messa in scena dell’in-between. Tematiche che appartengono alla storia di tutti noi e le nostre relazioni con i nostri cari.

Visto il successo internazionale non abbiamo potuto non chiedere qualche domanda in più sull’origine e la fortuna del suo lavoro.

 

 

Affermi di utilizzare la fotografia come strumento d’indagine procedendo dal generale al particolare. Dalla visione del film, per quanto privo di sceneggiatura, sembrerebbe che anche la narrazione per immagini segua questo percorso, com’è nato?

La fotografia è sempre stata mia compagna. Sono cresciuto in Sicilia dove i colori sono sgargianti, quasi si infiammano. Per questo motivo i miei primi lavori hanno un forte senso estetico, una tendenza al pittoricismo straniante per il mezzo fotografico che però mi ha permesso di tornare alla dimensione primitiva dell’immagine. Per il film su mia nonna, il “racconto” per deduzioni inizia con l’osservazione del cielo. La distesa azzurra e blu mi appartiene tra i primi ricordi – quasi a volerla stendermi per afferrarla – fin dall’infanzia costellata da fuochi d’artificio a generare una mappatura geografica a se stante.

L’esigenza di identificarmi con una forma espressiva e in particolare con una figura ha spinto il mio obiettivo a fare un passo indietro e soffermarmi sui dettagli. Da questi in modo induttivo sono arrivato alla figura di mia nonna. I miei primi lavori erano pervasi da una sacralità laica, la ricerca successiva di oggetti, di mani e infine di figure intere potrebbero essere le reliquie di un presente e di un passato che per me rimarrà così immortale.

 

 

Parlando di oggetti siamo arrivati alle persone, figure intere che non hai più temuto di riprendere. Il film è un audio-visivo in cui però hai scelto di non inserire la parola, tenendoci costantemente in suspancee spaesati, a eccezione della liturgia a messa. Perché?

Il primo motivo che mi viene in mente è che ho iniziato il processo creativo con mia nonna a partire da un racconto per immagini: le ho messo davanti colori, pennarelli, gessetti e l’ho lasciata creare il suo linguaggio. I disegni costituivano un vero codice che stava a me decifrare, non c’è stata né da parte mia né sua una restituzione didascalica. Dunque andavano comunicate allo stesso modo in cui sono nate.

In secondo luogo cerco di concepire ‘opere aperte’ percorribili e attraversabili da tutti. La parola è un momento di elevazione importante che influenza lo spettatore. Il suo uso avrebbe implicato un forte ancoraggio alla realtà che avrebbe disturbato la ‘non-narrazione’ sacra, il ritmo è scandito dalla ciclicità delle festività religiose nel corso degli anni che ho dedicato al progetto, l’unica coordinata che ho seguito.

Anche il sonoro contribuisce alla tensione dello svolgersi dei rituali, parallelamente alla figura della nonna, svanisce fino al buio finale.

 

 

I continui ed esasperati riferimenti al rituale sacro mettono in relazione l’esistenza divina e da diva di Graziella Carpintieri e l’ineluttabile, irreversibile approssimarsi della fine (del film, della vita). Sei riuscito ad esorcizzare con il medium artistico la fine?

Si.