Art

Tendenze e mode pandemiche

contributi e opinioni da “addetti ai lavori”

 

Trend, moda, tendenza, sono termini che hanno sempre rimandato a un ben preciso significato e che, per associazione lineare, si legano alla moda, al fashion, a ciò che è necessario seguire per “essere” parte di qualcosa, sentirsi parte di qualcosa… Senza intervento della volontà personale.

Ma quale tendenza sta sfiorando o completamente inglobando il concetto artistico del nostro contemporaneo? La questione pandemia è diventata la tendenza che ha investito appieno lo svolgimento del pensiero artistico oggi, sbloccando l’assenza di diramazione di un vero e proprio pensiero artistico.

Stefano Comensoli e Nicolò Colgiaco, artisti con i quali c’è sempre stata un’importante occasione di scambio verbale e visivo, spiegano: “Gli ultimi due anni hanno sicuramente portato tutti a dover riflettere su dinamiche che davamo per scontate e, per quanto ci riguarda, abbiamo scelto di non tentare di combattere il cambiamento ma di accogliere i nuovi bisogni, pensieri e problematiche, cercando di restituirle attraverso pratiche e sperimentazioni.

Alcuni dei valori che erano alla base dei nostri progetti si sono incrementati diventando importanti linee guida: il bisogno di libertà, di spazio, di confronto, di condivisione, sono alcuni dei punti di snodo delle nostre riflessioni nel momento pre/post pandemico che hanno trovato forme di evoluzione nella nostra attività. Abbiamo Spazienne, con la sua natura di progetto condiviso e abbiamo il Megazzino, nato per accogliere e scambiare. […] siamo stati portati a riflettere sui legami, sulle relazioni con le persone che non potevano più essere generiche e generali ma bisognose di attenzioni, meno ma più intense, stabili e profonde. Come artisti abbiamo sempre cercato il confronto e scambio con i colleghi e le collaborazioni e questi meccanismi si sono in qualche modo purificati, legandosi a rapporti costruttivi e duraturi che nutrono il lavoro e la ricerca.

 

Stefano Comensoli e Nicolò Colciago

 

Se il contemporaneo pandemico-sociale ci ha posti nella condizione di comprendere ciò di cui abbiamo bisogno e ciò di cui non abbiamo bisogno, l’arte ha fatto la stessa cosa.

Le oggettive difficoltà a svolgersi (dell’arte), nel corso di questo periodo, hanno sviluppato necessità altre nell’artista contemporaneo: “dove voglio andare per continuare a parlare della mia ricerca e per sviluppare il mio metodo?”, si chiede investito dall’antico fervore (“pandemico”) che lo inquadrava come il vero osservatore del sociale/contemporaneo.

La risposta a questa domanda ha addirittura due strade: fuga (in senso di “coscienza espositiva“) e collaborazione, due grandi mancanze nello sviluppo dell’arte contemporanea che percorre il lastricato e dorato mondo del “faccio per vendere”, a discapito del “faccio perché ho qualcosa da dire”; visione romantica della cosa ma probabilmente non del tutto errata.

L’artista di oggi, anzi, la quantità di artisti di oggi ha assunto la connotazione di fabbrica che produce, per un mercato X che comprende gallerie X e collezionisti X.

Si è quasi dimenticata la variabile Y (il pubblico che osserva), meglio definibile come costante K.

 

Martina Rota ci offre un’opinione in merito: “L’era pandemica (come la definisce la comunità scientifica) in cui siamo appena entrati ci permette di fare una riflessione sui nostri desideri in termini individuali e collettivi. Voglio ancora dedicare la mia vita all’arte? Posso sopravvivere? Come mi pongo in relazione al cambiamento epocale che stiamo vivendo?  Lascio che l’ambiente intorno a me mi trasformi ? Con quali realtà vorrei entrare in contatto in futuro? La mia produzione ha un impatto sul contesto attuale? Se si Quale? Se no vorrei che lo avesse e in che termini?

Queste alcune domande che si muovono con me in questi giorni. Credo che la pandemia ci fornisca più possibilità di cambiamento di quanto siamo in grado di analizzare e comprendere ora, che in fondo stiamo ancora nuotando. Personalmente sto cercando di utilizzare questo tempo sospeso, per indagare con più cura e lentezza, le necessità della mia ricerca artistica, in termini etici, estetici e semantici. Farmi più domande e avere il tempo per lasciare depositare le risposte, senza la fretta di produrre, per non aggiungere altre cose al mondo.

 

Martina Rota, “Breathless an homage to David Wojnarowiz” 2021, photo: Beatrice Perego

 

Alessandra Caccia rimarca analogamente: “Penso che ora ci troviamo in un momento cruciale, direi epocale, che ci sta portando a ripensare l’arte contemporanea. Sento la necessità di uscire con ancora maggiore autenticità allo scoperto.

Di parlare, di confrontarsi per creare ora qualcosa di nuovo rispetto a prima, perché questa crisi, forse più di altre, ci regala l’opportunità di sovvertire un sistema dell’arte che non sempre si è posto in una posizione dialettica con l’esterno. Ovvio questo richiede coraggio, ma è in sé la vita stessa a richiederci un grande coraggio.

Ora penso che non possiamo più sottrarci, che bisogna ritornare ad una funzione dell’arte; perché è dentro, ma anche all’esterno che questo si sta rendendo necessario.

Certo io stessa  mai come in questo momento mi sento spaesata di fronte ad un paese che sta prendendo una virata forse troppo oltranzista; mi piacerebbe molto che tra chi sente la necessità di un rinnovamento nasca una discussione e quindi uno scambio su come immaginare un ruolo e una funzione oggi dell’artista, alla luce dei cambiamenti che stanno avvenendo a livello mondiale su ogni fronte sociale, climatico e sopratutto umano.  

Penso che questa sia l’occasione di poter cambiare un prima che pur considerato “normale” aveva delle disfunzioni al suo interno.

 

Alessandra Caccia, ONDE, dal progetto VITA, 2002/2018.

 

C’è una fazione di artisti che ha cura dello propria ricerca (perché ne hanno una) e, in ragione di ciò, spesso si sentono (quasi costretti) a lasciare (mentalmente e/o praticamente) quella che è certamente la città d’oro dell’arte contemporanea in Italia: Milano.

Cosa lamentano? Forse la presenza di un trend, di una moda, di un’attività fatta di preziosità e freddezza. La “fuga” (in senso di “coscienza espositiva”) è probabilmente una buona strategia di formazione.

Così come strategicamente formativa è la collaborazione.

Secondo quale regola o necessità l’artista è divenuto un narratore solitario della sua realtà, del suo mondo chiuso, e probabilmente già deteriorato, che lo pone in una condizione di drastica incomprensibilità?

La pandemia ci ha lanciato in un sonno degno della favola di Cenerentola, ma senza l’arrivo del principe. Siamo noi che dobbiamo rimboccarci le maniche e, diciamocela tutta, in questi due anni l’arte non è mancata a nessuno.

Siamo stati in un pozzo è da lì abbiamo urlato scalciato e sembra quasi che nessuno ci abbia sentito.

Inevitabile aggiungere una riflessione condivisa con Annika Pettini, pensatrice profonda e brillante che con il suo lavoro di scrittura evidenzia sempre la relazione accorata con l’arte e il mondo della cultura in generale:

Forse mi viene solo chiesto (da me stessa) lo stesso tipo di curiosità e profondità/Non dare per scontato quel che sono ma aver voglia di conoscerlo/Accogliere la paura come stimolo/Chiarire la voce di chi sta parlando/La cultura è affogata e chi ci sta dentro urla sott’acqua

 

Annika Pettini

 

Artisti e addetti ai lavori hanno fatto una fatica che nessuno ha colto e, forse in virtù di questo, molti (e comunque troppo pochi) hanno cercato una rivalsa; in lotta contro artisti e addetti ai lavori che remano contro, perché il trend, la tendenza e la moda sono concetti comodi e facili da riconoscere.

Alla luce di questa comodità, l’idea è stata quella di porre la stessa domanda a quattro “addetti ai lavori” che, nel corso della frequentazione avuta nel tempo, si sono in qualche modo ritrovati, oserei dire con enorme consapevolezza artistica, in quelle due famose strade sopra citate: fuga (in senso di “coscienza espositiva“) e collaborazione.

Martina Rota, Annika Pettini, Stafano Comensoli e Nicolò Colciago, Alessandra Caccia hanno fornito un’opinione, un pensiero naturale, venuto fuori chiedendo loro di rispondere ad un’unica domanda:

Alla luce del fatto pandemico e di come prima e dopo Milano ha abbracciato la ricerca artistica contemporanea, come ti poni nei confronti dello sviluppo della tua ricerca e dell’arte contemporanea più in generale?

E quindi, grazie!

 

In copertina:Space in mirror is closer than it appears“, Stefano Comensoli e Nicolò Colciago – credits Mucho Mas! Artist-run Space