Art

SUB DIVO
“Visita guidata sui generis” con Giusi Diana

di Valentina Lucia Barbagallo

Abbiamo incontrato la curatrice, storica e critica dell’arte Giusi Diana la quale ci ha spiegato come, quando e perché ha deciso di proporre dei progetti d’arte contemporanea all’interno del Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi di Agrigento. Giusi Diana parla delle potenzialità della Public Archeology e Public Art e poi ci invita a visitare la mostra collettiva “Sub Divo – Sotto il cielo” in sua compagnia. In questa sede solo virtualmente, ma l’invito è a farlo, dopo aver letto questa “visita guidata sui generis” dal vivo. La mostra, infatti, è visitabile fino al 19 settembre.

È il terzo anno che collabori con il Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei templi, prima con i progetti di residenza Divinazioni / Divinations e adesso con la collettiva Sub Divo – Sotto il cielo. Perché hai scelto questo parco e perché quest’anno hai cambiato la tipologia del progetto?
Portare l’arte contemporanea al di fuori dei luoghi espositivi canonici quali musei e gallerie è sempre stato un principio ispiratore della mia attività curatoriale. Già altre volte, in passato, ho curato mostre per luoghi atipici. Ampliare il pubblico dell’arte contemporanea esponendo i fruitori di alcuni specifici contesti extra artistici ad esperienze estetiche inaspettate è per me molto stimolante ed è questo quello che definisco Public Art. Lo straordinario patrimonio archeologico siciliano è poi una tale fonte d’ispirazione che mi meraviglio del fatto che la cultura contemporanea solo occasionalmente vi interagisca, relegando le aree archeologiche al ruolo di teche atte solo a conservare e preservare. Uno spreco enorme di potenzialità e capacità immaginifica. Il parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi di Agrigento e il suo pubblico internazionale è, da tre anni, luogo di ispirazione e di sperimentazione oltre che di produzione dell’arte contemporanea per me e per gli artisti chiamati a partecipare a un’occasione unica, dovuta alla straordinaria sinergia creatasi con la direzione del Parco, nella persona di Giuseppe Parello. In questi anni, grazie alla sua direzione, una visione più aperta e inclusiva ha caratterizzato le azioni di promozione messe in campo, a partire da quel confronto con i linguaggi della contemporaneità, architettura e arte contemporanea, ma anche musica e teatro che caratterizza una visione illuminata che mette al centro di tutto il pubblico. Inoltre, il dibattito internazionale sul nuovo ruolo dell’archeologia nella nostra società è portato avanti grazie ad una disciplina ancora non del tutto conosciuta dal grande pubblico, la Public Archeology, a cui è stata dedicata una conferenza promossa dal Parco questo inverno con studiosi provenienti da tutta Italia. Ecco, trovo che Public Archeology e Public Art possano cambiare la percezione che si ha dei Parchi Archeologici nel nostro Paese, facendone dei centri dinamici di produzione e di sperimentazione di nuove pratiche e di nuovi bisogni. Insomma, sarebbe il caso di ripartire da qui, potenziando strutture e professionalità già esistenti e su cui l’immaginario collettivo è già esercitato, anziché inseguire modelli museali dai costi altissimi che oramai non ci possiamo più permettere e che tutto sommato poco ci appartengono.
Il processo di conoscenza ed approfondimento della realtà complessa del Parco va avanti da tre anni ed ha come strumento privilegiato la formula della residenza d’artista, in questo senso “Divinazioni/Divinations” che questa estate partirà con la terza edizione, (protagonista sarà il collettivo Alterazioni Video), è stato propedeutico a “Sub Divo”. Il giardino annesso a Villa Aurea, spazio espositivo che ha ospitato finora le mostre prodotte nel corso delle residenze, meritava però un progetto a tema che ne consentisse la riapertura e lo restituisse alla pubblica fruizione. Un percorso a sé stante, rispetto alle residenze, che attraverso il coinvolgimento di sette artisti si concentrasse su questa particolare porzione di paesaggio all’interno del Parco, abbastanza vasta da necessitare la presenza di un buon numero di opere. “Divinazioni”, invece, come avviene nei progetti di residenza non ha un tema, è più libero nasce direttamente dall’interazione spontanea con i luoghi, in questo senso non escludo che le due mostre possano dialogare.

Sub Divo – Sotto il cielo, sin dal titolo fa pensare ad una mostra in spazi aperti in cui il dialogo con l’archeologia e la natura non è solo un obbligo ma un confronto voluto. Sbaglio?
“Sub Divo/Sotto il cielo” è un titolo insieme evocativo e didascalico, perfetto per sintetizzare la doppia natura del progetto. Non sbagli quando ti riferisci al contesto ambientale, naturalistico e archeologico. Sub Divo è la definizione scientifica della necropoli “a cielo aperto” come viene definita questa area archeologica su cui sorge il giardino. Tombe scavate direttamente sul banco roccioso e anfratti naturali e artificiali, quali gli ipogei sono stati gli straordinari spazi con i quali gli artisti hanno dovuto confrontarsi. Il tutto immerso nel paesaggio naturale e archeologico della Valle, con il Tempio della Concordia a fare capolino dalla porta d’accesso al giardino, e la distesa immobile de mare Mediterraneo dall’altra. Il nume tutelare che guidava i nostri sguardi e i nostri passi era sir Alexander Hardcastle il proprietario della Villa il cui mecenatismo ha consentito a diversi monumenti di mantenersi fino a noi.

Vanessa Alessi, Fare Ala, Giuseppe Lana, Filippo Leonardi, Sebastiano Mortellaro, Carmelo Nicotra, Marco Maria Giuseppe Scifo: sono tutti artisti siciliani che vantano percorsi accademici ed espositivi di livello nazionale e internazionale. Perché hai scelto loro?
La scelta degli artisti è stata quasi naturale, si tratta di una giovane generazione di siciliani viaggiatori, fisicamente e intellettualmente, proprio come sir Alex, spiriti curiosi e tenaci, che pur tenendo ben salde le proprie radici non temono il confronto con il Mondo e la sua scoperta. Il tratto che li accomuna è la fierezza con cui impongono una visione poetica Mediterranea (nell’accezione di Terra di Mezzo o luogo di confine), praticando dei linguaggi aperti e trasversali imprescindibili se si vuole parlare al Mondo. Molti di loro vivono lontani dalla Sicilia, altri hanno scelto di restare, tutti però sono accomunati dal rigore della ricerca già ampiamente riconosciuta e dall’insularità (quello stare in mezzo ma separati) come tratto distintivo di un pensiero atipico, non conforme, orgoglioso della propria differenza, sebbene aperto allo scambio. In fondo l’Isola è un altrove ricco di possibilità, e loro lo hanno capito.

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Carmelo Nicotra, DO UT DES, 2014,cm 40x50x3, epigrafe su marmo – foto Gabriele Abbruzzese.

La nostra visita a Sub Divo parte dall’ingresso al giardino di Villa Aurea, un luogo eccezionale perché si trova di fronte al Tempio della Concordia, una parte del Parco di solito chiusa al pubblico che il direttore Giuseppe Parello ha voluto riaprire con questa mostra collettiva. Oltrepassato l’ingresso, sul vialetto centrale s’incontra la prima opera, è una semplice epigrafe su marmo che riporta perentoria la frase latina DO UT DES, l’autore è Carmelo Nicotra che si è ispirato alla biografia del proprietario di Villa Aurea, il capitano inglese che qui ad Agrigento, grazie ad una straordinaria generosità, salvò dal degrado diversi monumenti, apponendovi delle epigrafi simili a questa. La frase che Nicotra ha riportato è un invito ad essere generosi come il mecenate inglese ed un esplicito riferimento alla necessità di tutelare l’ingente patrimonio culturale del nostro Paese, purtroppo a causa della crisi sempre più in pericolo.

Fare Ala, Journey, 2014,cm 150×240,stampa su plexiglass, tubi metalici, cemento – foto Gabriele Abbruzzese.

Procedendo per il viale a destra si giunge davanti all’opera del collettivo Fare Ala, si tratta di — Journey, una mappa dell’area del Parco in cui la rilettura del paesaggio antropico su cui si sovrappone lo skyline di Agrigento moderna ripropone, in tutta la sua problematica evidenza, ciò che abbiamo prodotto a partire dal boom economico degli anni sessanta. Io lo leggo come un invito a riflettere su un errato e pericoloso concetto di crescita.

Filippo Leonardi, Il paradosso della tartaruga, 2014, cm 75x200x500,Testudo Horsfieldi, rete metallica zincata – foto Gabriele Abbruzzese.

Poco oltre, sotto una fitta vegetazione, un’affascinante scultura metallica che ripropone tridimensionalmente il segno grafico dell’infinito matematico interrompe la regolarità delle siepi. Si tratta di Il paradosso della tartaruga, una complessa installazione “vivente” di Filippo Leonardi. Il titolo dell’opera fa riferimento al celebre paradosso di Zenone di Elea, filosofo della Magna Grecia vissuto nel V sec. a. C. che in “Achille e la tartaruga” difendeva la tesi del suo maestro Parmenide sull’illusorietà del movimento.

Marco Maria Giuseppe Scifo, Peace, 2005-2014, video installazione ambientale, foto Gabriele Abbruzzese.

Al percorso all’aperto (ossia sub vivo) che attraversa i sentieri e la vegetazione del giardino, si intreccia un suggestivo itinerario sotterraneo che esplora una parte della vastissima necropoli paleocristiana che corre sotto il Parco. Peace di Marco Maria Giuseppe Scifo è una video installazione ambientata dentro un ipogeo, una vera e propria camera sepolcrale. Una capretta, animale sacro simbolo di sacrificio, utilizzato in diverse culture e religioni per fini rituali, è caratterizzata da un’iniziale fissità cui segue, attraverso l’animazione degli scatti fotografici, una progressiva vitalità resa per mezzo del movimento virtuale. L’ambiguità tra immagine fissa e immagine in movimento, e tra realtà vivente e finzione artistica costituiscono i nuclei semantici del lavoro. Inoltre, un riferimento alla statuaria classica caratterizzata dal punto di osservazione frontale, consente di considerare questa immagine, alla stregua di una scultura virtualmente animata.

Giuseppe Lana, Nessuno, 2014, tenda da campeggio – foto Gabriele Abbruzzese.

Ritornando all’esterno e percorrendo il vialetto si giunge in un punto panoramico del giardino, da cui si scorge la linea di costa e l’azzurra distesa del Mar Mediterraneo. Qui è ambientata l’installazione di Giuseppe Lana dal titolo Nessuno. L’effetto straniante provocato dalla tenda da campeggio verde brillante che si staglia contro il paesaggio aperto e il mare all’orizzonte è la chiave d’accesso più immediata per invitare il visitatore a fermarsi e a volgere lo sguardo verso quella linea di costa che vede poco oltre ergersi Lampedusa. Pausa e attesa, precarietà e libertà sono gli elementi che contraddistinguono la tenda rivolta verso il mare.

Sebastiano Mortellaro, H2O, la cisterna vista dall’esterno – foto Gabriele Abbruzzese

Procedendo lungo il costone roccioso che un tempo proteggeva Akragas, facendone una fortezza inespugnabile, si incontra H2O di Sebastiano Mortellaro. Tra i filosofi greci che dedicarono le proprie riflessioni all’elemento naturale dell’acqua, Empedocle di Agrigento vissuto nel V sec. a. C. lo definì, (insieme agli altri tre elementi dell’aria, della terra e del fuoco) “radice”. In quanto la vita e la morte di tutte le cose non sono altro che mescolanza e separazione di queste sostanze eterne e indistruttibili. L’acqua rappresentata dal suo simbolo e posta sotto la terra, (l’installazione è infatti ambientata in una cisterna del giardino), sottolinea questa sua natura carsica e ambivalente.

Vanessa Alessi, Sete.
(Vedi il video on line su YouTube)

La mostra si chiude con Sete di Vanessa Alessi, un’installazione sonora di grande suggestione che invita il visitatore, con il suo richiamo udibile a distanza, ad immergersi in una esperienza sensoriale e immaginifica davvero singolare. Una composizione elettronica realizzata in collaborazione con il tecnico del suono Chiara Fagnano prende vita dentro un piccolo ipogeo semi-aperto nel paesaggio. Il respiro e il battito di un cuore umano, campionati, vengono amplificati dal vano che inquadra in alto una porzione di cielo, mentre una goccia che cade fa da contrappunto all’atto dell’inspirare e dell’espirare e alla ritmica costante dei battiti del cuore. Connettendosi al bisogno fisiologico, l’opera comunica un senso di mancanza, di anelito organico e primordiale visivamente incarnato nei vuoti della struttura che mettono in comunicazione l’esterno e l’interno dell’ipogeo, come una rete di vasi sanguigni. I suoni ovattati e la dinamica organica del respiro, suggeriscono un’intimità biologica cui fa da contrappunto la realtà esterna con i rumori che si odono in lontananza. Un’immagine archetipica di questa terra siciliana così viva e palpitante nelle pieghe sotterranee che tante volte hanno accolto la Storia.

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