Art

Margini identitari

Gli occhi hanno paura ma le mani fanno

 

La luce “bianca” è il risultato dell’addizione di tutti i toni dello spettro visibile, perciò dovrebbe essere definita più correttamente come a-cromatica, cioè priva di colore. La concezione comune del dolore è piuttosto simile. Nell’epoca contemporanea la sofferenza appare definibile solo come un blocco assoluto. È esprimibile e spiegabile solo legata ad eventi che tutti, intuitivamente, associamo al dolore: la guerra, la pandemia, gli episodi di crisi umanitaria. Come evocano i testi del filosofo Byung Chul Han e la pratica pittorica di Lena Shaposhnikova, il dolore è una dimensione che viviamo quotidianamente, in substrato.

Lo spirito è dolore. Lo spirito giunge solo mediante il dolore a nuove scoperte, a una forma più elevata di conoscenza e coscienza.

“La società senza dolore”, Byung Chul Han

La gallerista Anna d’Ambrosio e la curatrice Evfrosiniya Bumazhnova hanno riscontrato una connessione tra l’artista e il filosofo, rendendola il fil rouge della mostra Gli occhi hanno paura ma le mani fanno, visitabile fino al 10 aprile presso Amy-d arte spazio a Milano.

 

La gallerista Anna d’Ambrosio, l’artista Lena Shaposhnikova, la critica Frosia Bumazhnova

 

Il titolo proviene da un detto russo secondo il quale, nonostante assistiamo giornalmente a eventi dolorosi, dobbiamo continuare a dare ognuno il proprio contributo, intellettivo e pratico, al fine di affrontare al meglio ciò che la vita ci impone.

Dopo un dialogo preparatorio durato due anni con la gallerista, Lena ha deciso di cimentarsi col grande formato, emancipandosi ancor di più dalla ricerca del dettaglio che la pittura accademica le ha insegnato. Lena usa l’horror vacui, rappresentato da uno spot bianco, lasciato non dipinto e usato come punto di partenza per costruirvi intorno l’opera, strutturata attraverso il colore.

Installati a parete, a pagine aperte, sfogliabili con lo sguardo, i diari ad acquarello di Lena parlano del rapporto quotidiano che ognuno di noi ha col dolore. Le proprietà del medium si prestano bene a descrivere questa cronaca intima: la fluidità, la predisposizione all’imprevedibile e, al tempo stesso, la delicatezza, la ricchezza delle sue sfumature. Lena è pienamente cosciente del suo strumento, ci gioca, lo sfida, così come fa con il sentimento su cui riflette e fa riflettere, tramite il pennello. L’artista infatti sceglie tra le carte quelle che meno si prestano ad esaltare il materiale, esasperando l’avvento del caos per poi contrastarlo con un fermo controllo della mano sui margini.

 

Taccuini (misure variabili e a corpo mix media acquerello, penna , grafite)

 

La sua ricerca si svolge ai margini della forma, dei confini nazionali e sui margini dell’essenza individuale, perché lì si svolge la costante indagine sull’identità. I volti sbiaditi, i cani raminghi parlano alle soglie interiori, in costante riassestamento, di ognuno. Nata e cresciuta in Siberia, l’artista si è trasferita a Firenze sette anni fa per studiare Pittura. Lena vive la contraddizione evocata dai suoi dipinti. Laureata in architettura e contemporaneamente diplomata in Accademia, si oppone con tutte le sue forze al detto patriottico “dove sei nato, lì servi”, considerando più rispecchiante la dimensione di chi migra nella definizione del sé. L’artista trova infatti più proficuo non cercare sé stessi nel luogo in cui si va a vivere ma nel percorso che ci si trova a intraprendere, rimarcando la sua ferma opposizione alle recenti decisioni prese dal governo russo.

 

Russia, 2020, Installazione in polistirene, 200x200cm

 

Russia (2020) è un cubo 2 x 2 m, assemblato durante il lockdown in uno studio di 2,5 x 6 m. Il lavoro racconta una verità scomoda quanto la sua realizzazione, attorno alla quale il governo del suo paese gira intorno, così come lo spettatore è portato a fare con l’opera. Il sottomarino scuro, di cui si scorge il profilo su una delle facce del cubo, rimanda alla tragedia del Kursk (2000), lasciato affondare nel mare di Barents pur di non chiedere aiuto agli altri paesi. Durante questo avvenimento i mass media russi hanno giudicato negativamente la gestione della situazione da parte delle istituzioni e da quel momento Putin, da poco in carica, ne ha avviato la censura. Nell’opera la Russia è un blocco di colore scuro e autoconclusivo, un volume serrato, chiuso in sé stesso e inerte tra i flutti.

Al contrario, muoversi ai margini non significa rimanere inerti ma affermarsi costantemente, nella consapevolezza del proprio errare. Il termine è qui inteso nel suo senso etimologico, vagare; l’artista lo fa proprio declinandolo come un errare consapevole, in cui il soggetto stabilisce di passo in passo la propria direzione.