ArtInterviews

Bagliori Urbani

Le Luci di Via di Genuardi/Ruta

 

Il 29 settembre, nel cuore del vibrante quartiere San Lorenzo a Roma, la galleria Matèria porta una ventata di energia musicale che si fonde in una brillante sinfonia di colore e forma. Questo evento speciale prende vita grazie al progetto site-specific del duo artistico Genuardi/Ruta, con la curatela di Giuliana Benassi.

 

Come se fossero in un vecchio peschereccio che naviga le acque al largo (un’immagine molto simile a quella presente nel Manifesto della mostra alla Modern Art Agency del 1969 di Jannis Kounellis), in un luogo in cui cielo e mare si fondono in un’unica scena quasi monocromatica, il duo Genuardi/Ruta si avvicina alla natura e alla superficie del quadro per illuminare la notte dell’anima. Il paesaggio-quadro si rivela all’interno di uno sguardo aperto sull’infinito di un’opera senza confini, mentre un filamento luminoso si accende al contatto con la visione, preludendo all’alba.

 

Carlo Corona: Luci di via è il recente progetto site-specific inaugurato presso la galleria romana “Matèria”, dove il duo artistico Genuardi/Ruta si ritrova a collaborare nuovamente con una tua curatela. Partiamo da qui.
Il richiamo di questi due elementi, cioè la luce e la via, fanno riferimento a un linguaggio nautico, come tu stessa hai sottolineato. E quindi anche al mare.
Come nasce questa riflessione?
Giuliana Benassi: Mi è sempre piaciuto paragonare lo spazio della galleria “Materia” ad una barca spinta con la sua prua verso il mare-San Lorenzo. Inoltre la metafora del mare appartiene ad un immaginario ancora più ampio, legato alla vita: come origine della vita, della creazione: dunque dell’arte. “Luci di via” come dici bene, è in realtà un termine rubato al gergo della navigazione e più propriamente fa riferimento a quelle luci utilizzate dalle barche per segnalare la propria presenza e non specificatamente per vedere. Con un sottile gioco di parole, le opere nel perimetro della galleria insistono lungo la via limitrofa alla piazza e, con una luce calda, si fondono pittoricamente con il contesto. La loro collocazione rispetta quella originaria delle lanterne del pub – precedente destinazione d’uso dello spazio – e contribuiscono a creare quella magia di trasformazione del luogo.
È un progetto nato con il gallerista Niccolò Fano, anche con l’intento di “osare” un approccio allo spazio pubblico, particolarmente caratterizzato dalla movida notturna, per dare continuità alla galleria anche nelle ore di “fruizione notturna”, assieme alla vetrina che invece esiste da più tempo. “Luci di via” inoltre, mette in evidenza la poeticità di incontrarsi per strada e di fondersi con le maglie della città, ed in particolare il giorno di inaugurazione lo spazio della galleria è rimasto totalmente vuoto, lasciando un ampio spazio di riflessione al pubblico che si è ritrovato a navigare con lo sguardo le architetture interne per poi uscire e guardarsi intorno per scovare le opere esposte come un dono al quartiere.

 

CC: Luce, colore e forma. Sono questi i tratti più evidenti della mostra Luci di via. Ma vi è anche una sottile ipotesi, sottintesa, in quella che chiami, nel tuo testo, “tautologia” rispetto alla luce e all’ombra.
Mi piacerebbe approfondire con te quest’aspetto, anche rispetto alla visione dell’elemento vegetativo presente nelle opere, le quali lasciano scoprire un’introiezione di paesaggio.
GB: Genuardi/Ruta hanno accettato la sfida di inaugurare questo progetto pensato per essere vivo nel tempo, accogliendo anche una sperimentazione insolita per il loro lavoro che, è vero che si fonda sulla luce, ma allo stesso tempo non aveva mai prima d’ora incluso l’elemento luminoso in quanto tale. Questa è stata la prima provocazione “tautologica” nel senso che il duo ha innanzitutto fatto i conti con la luce in quanto illuminazione elettrica e la sua interazione con l’opera. Da qui luce-colore-forma trovano un equilibrio nell’aver catturato come in una fotografia delle forme essenziali e geometriche (tra le quali anche il campanile limitrofo) portate in una dimensione di paesaggio naturalistico dal sapore mediterraneo. Le sagome intagliate in alluminio di elementi vegetativi infatti partecipano al gioco di luce e ombra: nelle ore diurne proiettando le loro sagome sulla trama bugnata della parete, nelle ore notturne attraverso la luce elettrica, si mettono in evidenza come natura vegetativa spontanea. Inoltre, l’intervento di Genuardi/Ruta potremmo definirlo un intervento pittorico caratterizzato anche da un certo mimetismo. Il contesto dei muri stratificati da graffiti, stickers e volantini – che ben rappresentano un quartiere spremuto da una vita sociale popolare e mondana – rende le opere partecipi del gioco di sovrapposizione di forme e colori preesistente, lasciando emergere una loro doppia vita: autonoma e allo stesso tempo totalmente immersa nel contesto dato.

 

Genuardi/Ruta. Luci di via, settembre 2023, Galleria Matèria, Roma. Fonte: materiagallery.com.

 

CC: Rispetto alla precedente domanda posta a Giuliana Benassi, quel paesaggio è mentale o vissuto?
G/R: Il cielo è il paesaggio che abbiamo voluto guardare, ma anche la terra, dunque il microcosmo e il macrocosmo. È un paesaggio esperienziale in quanto ne facciamo parte, ma è anche mentale perché riguarda la nostra identità, quella mediterranea e le componenti che la popolano, compresa la vegetazione. Ci piace l’idea che le opere di giorno siano viste in quanto colore e forma, mentre di notte come intaglio naturalistico luminoso.
Ogni colore ha un rapporto di affinità o di contrasto con quello seguente. È un ritmo coloristico, ci sono tagli netti, ma anche morbide silhouette.

 

CC: Nei vostri lavori, la presenza dell’uomo è evocativa, direi atmosferica, suggerendo un’idea di impossibilità e di perdita. Ma l’idea di ritornare verso una luce della coscienza restaurata nella sua interezza rafforza ulteriormente il legame tra il concetto di misura greca, unità e totalità dell’uomo. Una scena molto romantica, ancor più enigmatica, ma concreta.
Più specificatamente, in che modo tutto questo ha delle ripercussioni su questa nuova serie di lavori?
Genuardi/Ruta: In un articolo del 1951 apparso su Les Nouvelles Littéraires Camus scriveva: «al centro della mia opera vi è un sole invincibile», e pensiamo sia fondamentale virare l’opera in direzione del colore, slanciandola così verso una certa felicità, il sole di cui parla Camus. Diremmo che il pensiero mediterraneo è un punto dal quale bisogna partire per ricostruire quel senso di perdita di cui parli, e per farlo la nostra azione non deve essere un fenomeno di commiserazione, ma un atto gioioso, appunto. Questi paesaggi dove l’ombra e il bagliore hanno un ruolo fondamentale, in quanto definiscono tutto ciò che toccano, ci danno il senso della bellezza e delle proporzioni.  La Terra e il mare diventano sistemi di valori dai quali far agire il pensiero.

 

CC: La vostra ricerca si è sviluppata partendo dalle luminarie pubbliche che un tempo percorrevano gli spazi della galleria. Oltre a questo, a quali riferimenti avete guardato? Quali sono state le vostre domande?
G/R: Come dicevamo prima il cielo era un elemento fondamentale, le luci di riferimento nella navigazione sono le stelle e la prima che ci è venuta in mente è Orione, la costellazione più visibile in tutto il mondo perché si trova all’equatore celeste. Tra l’altro ha una storia ancora più radicata rispetto alla stella polare in termini di orientamento ed era una delle costellazioni più apprezzate sin dalle antiche civiltà. Partendo da questo ci siamo chiesti come potevamo idealmente dare l’idea di una costellazione e abbiamo pensato proprio alle proporzioni, adottando diverse misure, proprio come ci appaiono le stelle.

 

CC: Se non erro, questa non è la prima volta in cui l’idea della vela, ora convessa, appare: è già dal 2017 che in voi c’è questo “seme ideativo”, cioè quando avete presentato un intervento nella Chiesa di Santa Maria del Gesù a Modica. E di quelle vele, forme e colori, la luce ricopriva un ruolo centrale nella riflessione tra l’architettura, la geometria e la ridefinizione dell’ambiente. L’intervento a Roma, invece, può essere considerato un continuum di tale riflessione? Come si potrebbero mettere in relazione i due interventi dal punto di vista formale, ma anche concettuale?
G/R: Per la mostra Supercella SS115 curata da Daniela Bigi nel 2017 avevamo pensato al soffio divino, a qualcosa di sovrannaturale che gonfiasse quelle strutture facendole divenire dei polmoni, delle vele che percorrevano in lungo le cappelle laterali della chiesa. Anche loro suggerivano un percorso, segnavano e ridisegnavano lo spazio. Perciò sicuramente ci sono delle analogie tra questi due progetti. Immaginarli dall’alto era un po’ come se ci si trovasse di fronte a una mappatura delle chiese principali della città, per cui anche loro avevano a che fare con una traiettoria. Seguivano la ritmica di quegli ambienti così come “Luci di via” seguono quella della galleria, dunque un lavoro che fa dell’architettura il cuore pulsante dell’opera.

 

CC: Avete presentato delle “opere luminose”, ossia un percorso di luce che si fa strada lungo il perimetro dello spazio esterno della galleria.
In questo, mi chiedo come sia nata la volontà di collocare i lavori nella cornice esterna della galleria, una cornice che diviene essa stessa spazio dell’opera? Che tipo di continuità esiste nel rapporto tra i lavori presentati, lo spazio interno e lo spazio esterno?
G/R: Per la natura del progetto, parlandone con Giuliana e Niccolò, abbiamo optato per l’esterno anche perché la scommessa era proprio quella di realizzare un intervento che potesse dare un’identità nuova alle illuminazioni precedenti, azzardare con dei lavori visibili dall’esterno e che potessero avere una doppia valenza, sia diurna che notturna.

 

CC: Vorrei sapere se e in quale rapporto l’architettura, questa volta, ha influito sui vostri lavori?
G/R: Sicuramente la conformazione della galleria ci ha suggerito l’andamento di questa traiettoria, seguire tutto il perimetro ne accentua le forme, diventa una segnaletica.

 

CC: L’idea di percorrere una via di luce è una metafora per richiamare un sistema di valori, in risposta e contro l’agghiacciante anestesia dell’oggi. In più, nei vostri lavori, alle forme astratte e morbide si aggiungono dei presagi, scaturiti da intuizioni di luoghi che si offrono in risposta ad ogni modalità di interiorizzazione.
Questo per dirvi: se penso a Luci di via, mi ritorna alla memoria un’altra immagine, cioè, e per citare una vostra mostra presentata l’anno scorso a Zurigo, un orizzonte di fronte al quale è possibile scorgere qualcosa. Mentre “state in piedi su una scogliera”, cosa c’è davanti a voi?
G/R: Quel “noi” di quella scogliera si riferiva a una comunità, tante individualità che però hanno trovato un modo di stare insieme. Coesistere senza per questo lasciarsi conformare e trovare insieme la domanda giusta e i modi per rispondere. Di fronte alla scogliera c’è sicuramente il mare che ci lascia il presagio di un qualcosa che sta oltre l’orizzonte, altre comunità e altri paesaggi. C’è un’idea di andare e tornare per essere in grado di alimentare questa comunità sia in termini concettuali che emozionali. Stabilire un legame con la terra e poi essere fluidi come il mare. La scogliera è un modo per connettersi agli altri paesaggi e intorno ad essa non può che esserci una florida vegetazione, dai fiori di cappero alla strelitzia dai colori vivaci.
I greci preferivano dei promontori sul mare per costruire i loro templi.
Quel luogo preciso rispecchiava l’organizzazione sociale e il modo in cui gli abitanti concepivano l’universo. Venivano costruite attraverso un allineamento con le costellazioni perché fossero in grado di avere una corrispondenza con l’ordine cosmico e come le grandi imbarcazioni solide dovevano illuminare il percorso della propria comunità e dare l’idea di protezione. È un’idea di comunità che oggi bisogna ricostruire.

 

CC: Ne il trattato Della Pittura (1986), Salvo, in una delle conversazioni, dice: «Tu vedi un mio paesaggio; ci vedi dei fichi d’india, l’Etna, qualcosa che ti fa venire in mente la Sicilia… La Sicilia come luogo che mi ha dato i natali e le cui immagini si trovano nel mio pensiero». Poi continua: «Qui ci si deve fermare, oltre non si può andare: è da lì che è partito il quadro».
Come leggete quest’affermazione? Rispetto al vostro lavoro, rispetto agli intagli vegetativi e alla visione di paesaggio, dov’è che bisogna fermarci? Da dove nasce l’opera?
G/R: Il paesaggio mediterraneo è qualcosa di magico che sta dentro e fuori di noi, è un modo di vivere. Qualcosa che ci ha forgiati ed è attraverso quel filtro che vogliamo guardare il mondo ed è a partire da quel punto di vista che si guardano gli infiniti paesaggi del mondo perché quella scogliera poteva stare anche sul lago di Zurigo.

 

in copertina: Genuardi/Ruta, Luci di Via, veduta dell’installazione, 2023, Matèria, Roma, a cura di Giuliana Benassi. Courtesy Matèria, Roma.