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Intervista a Dario Nanì

Altri fiori per camera tua

 

Dario Nanì (1993) originario di Ragusa; attualmente vive e lavora a Bologna. La sua pittura, solare e introspettiva, riflette in modo forte e sentimentale a una memoria fulcro della sua ricerca, nella quale amori e spostamenti diventano una scansione netta del tempo dell’artista. La sua mostra personale “Altri fiori per camera tua” a cura di Francesco Paolo Del Re e Sabino de Nichilo – in corso presso lo spazio Casa Vuota a Roma – restituisce quella poetica e intima sensazione di casa abitata, nella quale i ricordi diventano visibili su tele colorate, dove si mescolano percezioni siciliane e bolognesi, ma anche su post-it e riviste, che fanno emergere la vitalità del luogo grazie all’interazione dell’artista che lo risiede.

 

Durante la nostra telefonata mi hai raccontato come i fiori fossero diventati un incubo, un motivo di angoscia e tristezza, qualcosa che legava una tua relazione non a te. Ti sentiresti di analizzarne il motivo?

Credo non ci sia cosa più originale che raccontarsi… semplicemente, con o senza il rischio di dire troppo. Per questo cercherò di essere il più lineare e coerente possibile con quello che è il mio sentire.

Dipingo fiori che non mi appartengono. Quei fiori oggi tanto citati e discussi dalle varie testate giornalistiche non erano per me, eppure hanno dato animazione al mio corpo, nuovi valori alle mie riflessioni e gesti. Un mazzo di fiori finti, orribili, kitsch e polverosi, poggiati su un armadio altrettanto scadente e di pessima fattura, tanto difficili da digerire. Sono quelli della precedente relazione sentimentale rispetto la persona con cui mi frequentavo.

Da qui parte un fastidioso mal di pancia durato mesi, che ha dato vita a una produzione pittorica decisamente inattesa. Dei fiori sbilenchi e dimenticati hanno innescato una ricerca stilistica che manca probabilmente di furbizia ma abbonda di sana ingenuità. Attraverso i temi del corpo poi, dell’identità, della mitologia e dell’amore, intraprendo un’avventura artistica che è fatta di gesti quotidiani, di frammenti immaginati, che finiscono con il comporre una reale visione, velando e svelando tutto un mondo che, per quanto familiare o proprio perché familiare, finisce con l’essere ignoto.

 

“Altri fiori per camera tua” a Casa Vuota a Roma, cosa è oltre ad essere una mostra dei tuoi ultimi lavori?

Ho immaginato Casa Vuota come un grande cassetto o baule aperto con dentro pagine di diario strappate, lasciate lì a suggerire immagini. Dipinti inediti e non che si susseguono, vegetazioni e corpi maschili a testimoniare un atto, un accaduto. Quasi come se mi ritrovassi stordito al centro di un turbine di momenti vissuti o semplicemente immaginati. Idealmente un filo rosso poi, anzi verde, a unire tutti i pezzi esposti. Nei verdi più verdi io sono qui: come una sposa, come fonte di luce, come silenzio interrotto, come possibile interferenza. Vegetazioni ricche di variazioni millimetriche di altri verdi che le percorrono. I boschetti, le spiagge nudiste, i cespugli, i giardini, le riserve naturali, rivelano i miei luoghi d’incontro.

 

Quali sono adesso i nuovi fiori che porti?

I fiori sono metafora di incontro con l’altro, stabilirne una connessione per poi tradurla, attraverso la pittura, in immagine. Spesso mi rendo conto di dover cambiare qualcosa, di dover toccare con mano altri aspetti della realtà, per poi approfondirli e digerirli (almeno in parte). Niente di più odioso dei confini, delle limitazioni… niente di più stupido. Continuo a guardare ingenuamente il mondo con gli occhi di un curioso. È il più bello sguardo che un pittore possa avere. Non ci sono abitudini né immagini a me precostituite; dipingo semplicemente e le scoperte le trovo dentro il fare. Tutto là fuori è sempre fresco, nuovo e sorprendente.

 

Gesto e intimità nella tua pittura si sostengono a vicenda. Il gesto sembra diventare la voce delle tue relazioni che in questo modo possono essere raccontate. Pensi di dipingere per raccontare la tua intimità?

Io non penso a stupire. È semplicemente quello che vivo. In alcuni dipinti c’è una particolare forza erotica perché in quei luoghi ho avuto degli incontri. Ho anche aggiunto le coordinate di quel luogo, come per siglare insieme i posti e i rapporti. Per questo quando rielaboro con la pittura questi ricordi intimi è come se avessi un ulteriore rapporto profondo con la tela.

 

 

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Nato in Sicilia, ma ti sei spostato ovunque e hai fatto innumerevoli traslochi. Quanto ha influito tutto ciò nella tua produzione e cosa si nasconde per te dietro un trasloco?

La mia adolescenza è stata parecchio turbolenta. Trasferimenti che andavano ad annoverarsi da Nord a Sud; quante storie lì dentro, quanti deliri e ricordi.

Bologna a differenza delle altre è stata, e lo è ancora, la città che finora più mi rappresenta. Una terra ricca, stimolante, piena di storie. Qui, a dispetto di altri luoghi meravigliosi in cui ho vissuto, si ha ancora la percezione e la possibilità di far ricerca, di sperimentare e osare, e la pittura diventa così strumento per memorizzare e metabolizzare ciò che accade.

La mia è la storia di un ragazzo. È la storia degli altri dal mio punto di vista. È la storia palesata dalla pittura, che mette in scena la parte più privata e intima di me.

Il trasloco mi porta a ragionare sul fatto che un’ora è più di un’ora, un giorno è più di ieri e un anno è più dell’anno scorso. Non so se fosse stato meglio nascere ventotto anni prima o dopo questo presente. Al momento posso semplicemente dire che la pittura, mia amante, mia amica, mia confidente e mia nemica, è l’unica cosa per il quale riesco a dar “senso” e “ordine” alle mie giornate. Un senso che in realtà non c’è perché, pur sapendo che le illusioni sono illusorie, questa mi dà forza e coraggio nell’affrontare un’esistenza, senza la quale mi sentirei perso.

 

A cos’altro stai lavorando? Hai nuovi progetti per il futuro più prossimo?

La mia ricerca artistica continua a svilupparsi sull’idea del paesaggio e del corpo, e sulla loro stretta relazione. È forse poco utile scovarne un principio regolatore, è meglio lasciarsi trasportare dalla visione di quest’ultimi. A tal proposito Platone era convinto che l’uomo fosse “giusto” nel momento in cui si “aggiustasse” all’universale armonia. Ho necessità di cadere in una dimensione altra e magnetica. Parlo così di natura reinventata attraverso un’esplicita strategia cromatica. Un luogo vago e preciso al tempo stesso, che attrae tanto da spingere chi osserva dentro la scena, facendogliela vivere o rivivere. La pittura perciò si fa cronaca romanzata della mia vita, dei miei desideri carnali, delle vittorie e delle sconfitte, all’interno di uno scenario irregolare e distorto.

Il progetto espositivo di Casa Vuota, sicuramente ha dato il via a una serie di collaborazioni lavorative presso alcuni spazi deputati all’arte, che trovano luogo in diverse città italiane quali: Milano, Bologna, Lecce e Noto, da qui alla prossima stagione estiva.