Art

Casa Cicca Museum

 

Il lavoro di Giulia Currà è fatto di elementi che provengono da un’esperienza radicata e interiore molto forte. Tutto nasce dai traslochi, dalla possibilità di avere accesso a mondi di altre persone, fatti principalmente di scatole piene di oggetti e carichi di memorie più o meno lontane. Il legame con l’arte diventa presto una connessione naturale che genera identità varie che pongono l’accento sulla memoria, sul processo artistico, sull’effetto che esso ha e, soprattutto, sulla contaminazione: la semina alla quale succede la nascita, in questo caso di un progetto, di una riflessione, di un semplice spunto di base. Per fare in modo che questo accada, tutte le manifestazioni d’arte – musica, teatro, cinema, video, ecc. – diventano linguaggio più o meno specifico di quelle identità. Casa Cicca, una delle identità che compongono Giulia Currà, è la perfetta risultanza di una stratificazione che l’ha portata a crescere per diventare museo. Casa Cicca Museum è, infatti, il terzo stadio evolutivo di quella che, all’inizio, era la necessità di avere una casa e che, nel tempo, si è trasformata in luogo di incontro, di scoperta, di collezione e archivio.
Casa Cicca prende il nome da Porta Cicca, la porta più piccola della città di Milano, tra Porta Genova e Porta Ludovica, e dai trascorsi della mala in cui nasce per la prima volta. «Cercavo un piccolo covo dove vivere e così incontrai la stanza rossa a specchi di Deborah the Queen: mistress del quartiere.
«Prima casa/studio, poi custode di oggetti donati da ospiti che ci sostavano durante i miei numerosi viaggi. E, un giorno, il mio sguardo si accorge della meravigliosa collezione che si stava creando da tempo. Sono sempre stata una collezionista, fin da quando ero piccola, andavo in giro per mercatini e simili, dove trovavo cimeli e curiosità da adottare, sviluppando così un rapporto particolare con gli oggetti; con i traslochi, poi, non avevo limiti…» spiega Giulia Currà durante la conversazione che abbiamo avuto con lei presso Le Jardin Bistrot, una caffetteria nei pressi del Duomo di Milano, dove una parte delle identità di Giulia Currà si è manifestata. «Casa Cicca inizia con dei piccoli eventi, in 25 mq tra due porte sempre aperte ad un pubblico sempre diverso. Privato e pubblico si fondono e attraverso collaborazioni inizia la storia di un covo, di un nido per sperimentazioni e convivio, ora alla sua terza sede in lavorazione».

All’interno della seconda location, infatti, hanno agito un architetto, dei designer e un artista con l’intento di far sì che tutto fosse ben inglobato in un’idea, quella del «vivere in un’essenza mutante»; e così anche gli eventi organizzati all’interno della casa erano mirati e concisi, rimanendo però fedeli all’idea della commistione di più linguaggi. La vendita stessa della seconda Casa Cicca diventa un’operazione artistica, sia perché contenitore di memorie, sia perché elemento d’arte che sarebbe stato poi riconosciuto e certificato.
Si giunge così a Casa Cicca Museum che, dopo tanto sperimentare, prenderà forma con intenti ben precisi; primo tra tutti quello di «creare un cortocircuito tra contemporaneo e antico, dove diventa Museo un luogo privato appena nato, dove oggetti, opere e libri perdono il contesto temporale usuale e si manifestano in forma attiva nel presente» spiega Giulia Currà. «Per la terza sede, ora in progress, ho deciso di istituire un concorso interno tra due coppie di architetti, chiedendo loro di attivare ancora di più l’idea contraddittoria di luogo museale e luogo intimo, studio di ricerca, archivio e collezione d’arte fatta di scambi, doni e passione». Un progetto importante che mette comunque in conto la possibilità di non essere già completamente definito ma, piuttosto, completamente in divenire, in evoluzione, in riflessione; aperto a quello che la fase progettuale proporrà.

«Una cosa, che mi piacerebbe molto che avvenisse, è la collaborazione con l’esterno, come è successo qua», ci dice infine Giulia Currà, indicando il luogo in cui ci troviamo e dove, non a caso, ci siamo incontrate. Le Jardin Bistrot ospita, infatti, una piccola parte della vasta collezione di libri della biblioteca di Casa Cicca. Il legame che l’artista ha con il libro, e la carta in particolare, è molto forte e ciò l’ha portata, nel tempo, a mettere insieme un quantitativo importante di testi, cartoline, ecc. che raccontano una memoria, un «resistenza culturale», nei confronti della cultura «ai giorni nostri sempre più invisibile e non tutelata».

Esporre questa porzione di collezione della biblioteca assolve al meglio il concetto della contaminazione di cui Giulia Currà si fa portatrice con e per le sue identità, diventando compost, diventando Traslochi Emotivi, o Vegetal Import Festival; ognuna delle quali ha linguaggi, sessualità, significati e intenti; volontà in riconfigurazione cronica, tra fastidi, contraddizioni e alleanze sempre attive. La cura al primo posto.