Art

Intervista a Fabio Marullo
di Maria Giovanna Virga

Com’è cominciato il tuo percorso artistico?
Possiamo dire che ho avuto un percorso inusuale. La mia non è stata una formazione artistica meramente legata all’Accademia. Mi sono formato in ambito architettonico e successivamente ho vinto una borsa di studio che mi ha portato alla facoltà di arti e design dello Iuav di Venezia. Dopo tre anni trascorsi nella città lagunare, e dopo un’ulteriore pausa lavorativa presso la Facoltà di Architettura di Cesena, mi sono dedicato anima e corpo alla dimensione della pittura.

Durante quegli anni c’è stato un incontro o un accadimento particolare che ti ha avvicinato all’ambiente artistico, e soprattutto alla pittura?
Provengo da una famiglia in cui la dimensione artistica è sempre stata molto presente, in forma direi “di donazione di mancato diritto”. Nello specifico “la pittura e i suoi odori” hanno accompagnato la mia infanzia, ma solo intorno ai venti anni ne ho avuto davvero coscienza. La figura di Claudio Marullo, zio, oltre che raffinatissimo pittore, è stata prepotente e determinante. Di lui, oltre il sentimento affettivo, dettato ancor più dalla sua recente scomparsa, ricordo il rigore di un comportamento e di un metodo: pensieri paritari, interrotti da silenzi scomodi, colti, colmi di mozziconi di sigarette appena rullate. Eppure dopo i miei studi Universitari, mosso dalla voglia di conoscenza, sono andato via dalla Sicilia; ho incontrato diversi artisti, vivendo di infatuazioni momentanee, ma tenendo sempre come riferimento la dimensione della conoscenza e dello studio.

Come descriveresti i tuoi lavori?
Non riuscirei ad essere sintetico o ad etichettare il lavoro, perché lavorare con la pittura significa portare dentro molteplici significati, interrogativi e fallimenti. Sicuramente direi che non mi interessa fare una pittura che sia iper-reale, bensì una pittura visionaria, legata alla figurazione che aspira a divenire astrazione.

A cosa ti ispiri quando dipingi? Hai delle tematiche che segui o ti concentri su delle suggestioni che variano nel tempo?
Il mio lavoro ruota intorno al “paesaggio” cioè la relazione tra luogo e senso. A prescindere dai soggetti e dai contesti di cui ogni volta mi infatuo visivamente, il mio lavoro guarda alla narrazione in equilibrio tra sogno e naturalismo manipolato. Il luogo potrebbe essere qualunque: nella fattispecie, il senso che cerco di dare io al luogo è quello che ha in quel momento. Il paesaggio è proprio un’infatuazione: è come se fosse un fantasma, ed all’interno di questa relazione la figura sparisce e poi ricompare, sempre nella direzione del paesaggio. È pur sempre un pretesto all’interno del quale ambientare simbolicamente tutto, per poi poter parlare della pittura; in genere questo è il pretesto, ovviamente una forma di sofismo estetico, o se vogliamo una persuasione che ci aiuta a rendere visibile ciò che in realtà è invisibile; perché tutto ciò che ha a che fare con l’invisibile, ha a che fare con il sentimento, e nell’immediatezza con l’infatuazione, per me, il paesaggio, è anche questo.
Penso ad esempio ad un recente progetto sul paesaggio, ancora in fase di studio, nato da un viaggio di ritorno da una residenza in Cina lo scorso autunno… ricordo l’incanto mentre sorvolavo la catena montuosa dell’Himalaya. Poi per una strana circostanza, l’incontro con il testo di John Keay dal titolo Quando uomini e montagne s’incontrano, una serie di racconti di fine Ottocento che evidenziano l’importanza simbolica della montagna.

Raccontami del tuo progetto in residenza a Viafarini.
Il progetto per la residenza a Viafarini, è un’infatuazione, una trasposizione pittorica di una “Wunderkammer”: testualmente, la camera delle meraviglie ( genere di collezione tipica dell’aristocrazia siciliana). Il progetto è composto da una serie di pitture ad olio, prevalentemente di piccolo formato distribuite su due pareti attigue, una bianca e una verde. L’idea formale di costruire una “Wunderkammer” con la pittura, è nata da una suggestione con l’incontro di un testo di Gesualdo Bufalino dal titolo “Il tempo in posa”, ove l’autore rivela la scoperta di un ritrovamento in una soffitta di campagna di alcune decine di immagini fotografiche appartenenti ad un “epoca” del secolo scorso.
Il progetto vuole essere la risultante di alcuni temi: il mito dell’enciclopedismo, caro ai rampolli della migliore nobiltà che si occuparono di astrologia, collezionando mappamondi e sfere armillari, come testimonianza del ruolo centrale che la Sicilia aveva in Europa e nel resto del Mediterraneo; un modo questo, di collezionare, che suscita meraviglia e stupore ed evidenzia lo stato sociale dei proprietari e il loro straordinario elevarsi sulla massa informe del popolo… poi ritratti e oggetti di preziosa inutilità o stranezza.

Come mai le figure sono spesso isolate, soprattutto negli ultimi lavori? Avverto una certa malinconia, che spesso mi viene confermata anche dalla tua scelta dei titoli.
I titoli hanno sempre un valore importante per me. In genere il lavoro nasce anche da un titolo o da una sensazione. I titoli hanno un valore nel momento in cui vengono pensati per dare senso allo stesso lavoro. Quindi, è vero che negli ultimi lavori molte figure sono a volte isolate, ma lo sono in quanto specchio di quello che, secondo il mio punto di vista, è il mondo in cui stiamo vivendo oggi.

Parli spesso dei luoghi che hai visto o in cui hai vissuto: mi chiedevo, quindi, quanto le città che hai visitato abbiano avuto delle influenze sul tuo lavoro, e se tu stesso sei consapevole dell’influenza che queste città hanno sulla tua pittura.
Sì, assolutamente, mi è stato fatto notare che il luogo in cui vivo ha degli effetti sul mio lavoro, magari nell’uso di certe tinte, piuttosto che di altre.

Diresti, quindi, che tali luoghi hanno delle influenze sulla coloristica che compone i tuoi lavori oppure sulle tematiche ed i soggetti?
Certo, ma inconsapevolmente, tutto viene condizionato dello spirito del luogo, in quanto unico e irripetibile.

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(1) Wunderbar, simulacro di involontaria malinconia, 2013, oil on linen, cm 55 x 35.
(2) Wunderbar, simulacro di involontaria malinconia, 2013, oil on line, cm 20 x 20.
(3) Wunderbar, simulacro di involontaria malinconia, 2013, oil on linen, cm 20 x 20.
(4) Wunderbar, simulacro di involontaria malinconia, 2013, oil on linen, cm 30 x 20.
(5) Vista d’insieme dell’installazione Wunderbar, simulacro di involontaria malinconia, 2013.

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