Design

Design e competenze artigiane sicule e secolari:

Timelam raccontato da Andrea Branciforti

 

Durante il Fuorisalone di Milano, tra il 9 e il 14 aprile, nel quartiere Isola Design District, l’Atelier KONDAKJI ha ospitato le idee innovative di 14 aziende siciliane che sono riuscite a coniugare pratiche artigiane di qualità con il design contemporaneo.

La reinterpretazione di modelli classici di artigianato siculo trionfa: le cementine[1] acquisiscono leggerezza nel materiale così come nelle fantasie e nei colori che le decorano; le lampade in legno inclinano l’angolazione luminosa grazie a un comando vocale; il vino nei bicchieri viaggia attraverso spirali di vetro, le “teste di moro” diventano taglieri in legno o contenitori ceramici per la ricotta. Le innovazioni seducono l’occhio ma anche le menti più logiche: ecologia e ottimizzazione dello spazio si uniscono in una libreria scomponibile dalla struttura portante in policarbonato e divisori in cartone compensato. E ancora, il lavandino quasi piatto che lascia completamente libero lo spazio sottostante al “piatto” della vasca, fino all’incontro tra tappezzeria e illuminotecnica: una lampada da lettura spenta diventa oggetto di arredamento, poiché coperta dalla sensualità del velluto, i cui colori caldi s’intonano al corpo di un separé interamente costituito dallo steso materiale, diventando toletta e appendiabiti in una sinestesia di funzioni e percezioni sensoriali differenti.

La novità presentata da tutte queste aziende e che costituisce il fulcro della mostra è proprio la sinestesia tra design funzionale e conoscenza artigiana, spiega il curatore, Andrea Branciforti. Art director di Improntabarre, studio e laboratorio di design, ideato nel 2004, è anche progettista per Timelam, il nuovo brand di Iblea mosaici, azienda oggi ventenne nella lavorazione di materiali marmorei e ceramici di grandi formati attraverso l’utilizzo di cosiddetti “forni a tunnel”, nata su idea di Biagio Corifeo.

Il progetto ha come protagonista due materiali: l’emblematica pietra lavica e l’innovativo Laminam. Usato per rivestimenti interni e pareti ventilate, in questa collezione la sfida è stata declinarlo in oggetti piccoli e d’arredo che conservassero le peculiari caratteristiche del materiale: l’antigraffio, la resistenza ai raggi ultravioletti e all’usura, l’a-tossicità, la leggerezza e la praticità.

Le collezioni pertinenti a tale progetto sono due: Mithological e Saligia. Entrambe riflettono sui miti, rispettivamente, classici e contemporanei in chiave – anch’essa – sinestetica.

La prima è improntata sui richiami al mito greco (e quindi anche siculo) ed è disegnata da Andrea Branciforti.

Gorgon è una serie di piatti in Laminam serigrafato con le teste delle tre sorelle: Steno, Euriale e Medusa, incarnazioni delle perversioni, rispettivamente, quella sessuale, morale e intellettuale. Poi abbiamo il mito del tempo, la percezione della quale oscilla tanto quanto invece la sua scansione è puntuale e inesorabile come fosse scandita da un metronomo: immagine ripresa in TuncUs, orologio in legno con innesto in pietra lavica che “se lo spingi torna indietro”. Con Idra, Branciforti empatizza la seconda fatica di Ercole, progettando uno sgabello in pietra lavica e ferro lavorato interamente a mano per ricordare, nel corpo e nella texture, le connotazioni serpentine della creatura di riferimento. In ultimo Kiosk fatto in Laminam e legno, converte le tradizionali edicole votive tipiche del territorio siciliano, trasformandole in contenitore fisico degli odierni oggetti sacri… capire i quali sta al fruitore.

Quest’ultimo oggetto è il motore (im)mobile della seconda collezione, più di natura installativa, ispirata dall’acronimo boccacciano che riunisce i sette peccati capitali: Superbia, Avarizia, Lussuria, Ira, Gola, Invidia, Accidia. Sei artisti serigrafano sulla superficie in Laminam i sette miti-peccati della società contemporanea.

“Io me ne frego e annaffio il mio ego” dice Er più, il bambino-incarnazione, per Alice Valenti, della superbia che dall’altezza della sua inesperienza e ignoranza, pur di dimostrare di non rispettare gli altri non rispetta sé stesso, urinando sguaiatamente sul mondo: la tragedia è che quest’atteggiamento purtroppo è intravisto oggi come qualità necessaria da giovani e adulti.

Il miserabile di Willow è una figuretta angolata, stretta a coprire la sua ricchezza e la sua solitudine in un alone nero e chiuso. La festa che si svolge colorata e aperta non lo coinvolge per suo spontaneo esilio. D’altronde “l’avarizia è sicuramente uno dei sintomi più attendibili di una profonda infelicità”.

Giovanni Robustelli sfrutta l’idea evocata dell’edicole votive per esprimere la sacralizzazione del peccato: caratteristica dell’età odierna. Travestita da Madonna della Misericordia, la sua Lussuria non si dona ma si butta al primo offerente.

Da Ubi Consistam (The Fist Paradox) riprende (troncato) il celebre motto di Archimede “datemi un punto d’appoggio [e solleverò il mondo]”. Ma quello che Massimiliano Usai rappresenta è lo slancio dato dall’ira che non solleva il mondo ma lo fa precipitare. Impulsività e conseguenze catastrofiche sono ben esemplificate nel pugno che precipita il mondo.

Demetrio di Grado rappresenta una donna nella sua Compiaciuta squisitezza. Incarnazione del goloso e dell’avaro: chi prova – invano – a colmare un vuoto caratteriale con un’indigestione di materia; di chi, non riuscendo a riconoscere le qualità spirituali, si riempie di oggetti e di cibo “di qualità”. Un autoinganno che allarga il cratere ogni volta che prova a riempirlo.

L’invidia nuoce gravemente alla salute. Di sé stessi, afferma Andrea Buglisi. L’esperienza altrui non è vista da chi vi assiste come un’ispirazione per il proprio miglioramento, ma come qualcosa che gli viene sottratta. Il paradosso è che proprio questo modo di pensare sottrae ogni possibilità di (ri)scatto a chi la prova: la lastra nera ricorda una lavagna, così l’artista serigrafa la struttura del “gioco dell’impiccato”, dove la parola da indovinare si può scrivere e cancellare: ma sono sei lettere e, malgrado ci si provi ad attribuirle a qualcos’altro, coincidono col peccato di chi si condanna da solo all’infelicità per i successi altrui.

Infine, la malattia sociale più diffusa è sintetizzata dal coordinatore del progetto -alias Teddy- con “Io non studio. Io non lavoro. Io non navigo nel web. Io non vado al cinema. Io non vado in palestra. Io sto bene”. Ben rappresenta il loop di negazione in cui l’accidioso si estenua, cercando di convincersi che nessun moto –anche d’animo- lo farebbe star meglio, ed è meglio accontentarsi del suo “(so)stare bene”.

Nell’antichità si aveva bisogno dei miti per farsi spaventare dai peccati. Oggi l’essere umano, come un adolescente che si ribella ai genitori, prende il peccato e ne fa mito da raggiungere, nel tentativo di spaventarsi ancora, o meglio, di provare qualcosa di forte ora che i valori non hanno più significato.

 

[1] Classiche piastrelle in cemento