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La vita secondo Giuseppe Patanè
Lo scorso luglio, presso il teatro Bellini di Acireale, è stata inaugurata “Ego” di Giuseppe Patanè, a cura di Carlo Micheli. Il progetto espositivo, visitabile fino al 29 settembre 2024, indaga il concetto di individualismo e di rapporto col prossimo snodandosi in 9 locations della città: Palazzo di Città Sala Zelantea, Chiesa di San Benedetto, Chiesa di San Rocco, Teatro Bellini, Chiesa degli “agonizzanti” San Crispino, Chiesa di Santa Maria Odigitria, Museo Diocesano, Biblioteca e Pinacoteca Zelantea, Cattedrale Ss.ma Maria Annunziata.
Attraversando le varie tappe della mostra, si nota subito lo spirito eclettico dell’artista: come afferma il curatore Micheli “dipinti, sculture, installazioni, oggetti d’arredo, gioielli, sperimentazioni alchemiche, tutto è creato dalle sole mani dell’artista, senza l’ausilio di pennelli, spatole o qualsivoglia altro attrezzo o strumento”.
Lungi dal trattenerla o dal smorzarla, le opere di Patanè travolgonolo spettatore con un’ondata di emotività – abbiamo spesso paura delle nostre emozioni e di esprimerci liberamente, ci preoccupiamo di come gestirle, le viviamo “col freno a mano”, nello sforzo di rispettare le convenzioni sociali. L’artista ci esorta a eliminare tali costrutti e a esplorare la propria emotività senza timore, anche nei suoi lati spiacevoli: nell’installazione di Palazzo di Città, dal titolo omonimo “Ego”, in una parete scorrono immagini di violenza fisica e psicologica, accompagnate da un sottofondo sonoro composto da batteria e da una voce lacerante. Le immagini, pur essendo artefatte e semplici, risultano eloquenti e d’impatto: la comprensibilità è un elemento centrale nel lavoro dell’artista, le cui opere riescono a comunicare il loro messaggio senza ricorrere a intellettualismi.
Anche nell’affrontare le “barriere” emotive e sociali contro cui ci scontriamo vivendo nella nostra società, l’artista sottolinea sempre l’esistenza di un’altra faccia della medaglia positiva e piena di speranza: ad esempio in “Naufragi” il dramma dei migranti in mare, disumanizzati e ignorati dalle istituzioni e dalle nostre coscienze, si sovrappone ai viaggi di Marco Polo, trasformando così l’idea di viaggio come fuga disperata all’idea di viaggio come ricerca, scoperta e apertura all’altro. In “Senzatutto (Neve)”viene presentata la storia di un clochard personalmente conosciuto dall’artista: mentre la società ignora i senzatetto come degli intoccabili, l’artista pone al centro la loro individualità e il loro essere persone con un vissuto, con dei desideri e con delle storie da raccontare.
La tappa ospitata dal Teatro Bellini invece si concentra sulla tradizione della corrida, attraverso dipinti che rappresentano toreri, contraddistinti da colori sanguigni e da un tratto intenso, dato dall’uso delle dita. Le opere vengono accostate ad ossa di tori sconfitti e alla parola“corrida”, in cui però la lettera “c” è tagliata, divenendo da “corrida” a “orrida”. Come è definita orrida dall’artista l’usanza di uccidere i tori, pur nella sua spettacolarità.
Patanè, in conclusione, risemantizza il concetto di kitsch, rendendololo strumento per esprimere sé stessi e la vera arma rivoluzionaria contro le convenzioni. Ogni cerebralismo e concettualismo è abbandonato in favore di un’estetica flamboyant, quasi frastornante ma, nel suo essere “eccessiva”, efficace.
In copertina: Particolare dell’opera Verbum di Giuseppe Patanè.
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