Art

Intervista a Ettore Pinelli

di Giovanni Scucces

Hai svolto i tuoi studi in Accademia di Belle Arti. Pur con le dovute differenze, come vedi la formazione accademica odierna? Quanto ha influenzato la tua ricerca?

Non sono mai stato legato all’ambiente dell’Accademia pur avendone la formazione. Credo, che più delle lezioni in aula, sia importante frequentare l’ambiente, conoscere altri punti di vista, incentivare il confronto. Gli stimoli che nascono dall’incontro con altri artisti, o validi insegnanti, sono il momento di crescita maggiore e più proficuo. Nel mio percorso personale, ho sempre appreso attraverso vie trasversali, motivato da curiosità e interesse rispetto alle esperienze degli altri. Posso affermare senza alcun dubbio che non ci sono alcune influenze provenienti dall’Accademia nella mia ricerca.

Qual è stato il momento in cui credi di aver fatto il salto di qualità? Com’è cambiata la tua ricerca dai tuoi primi lavori a oggi?

In realtà, nella percezione più ampia del mio lavoro durante gli ultimi otto, dieci anni, credo più di avere fatto un salto, che un salto di qualità. Intorno al 2004 ho deciso volontariamente di abbandonare tutto ciò a cui avevo lavorato fino a quel momento, affrontando le intuizioni che iniziavano a manifestarsi, adesso correlate alla mia ricerca attuale. Il disegno ha sicuramente avuto un ruolo significativo in questa fase di cambiamento, considerata la dimensione installativa che ho adottato, e sviluppato una tecnica che racchiude in sé una struttura complessa ma mantenendo una schematicità specifica. Nel corso di questi anni, da progetto in progetto, ho cercato di focalizzare su quegli aspetti che sono fondanti per il mio lavoro, l’introduzione di materiale documentaristico, fotografico e video, lo studio del rapporto tra superficie dell’opera, dimensione fisica del quadro e dello spazio con cui dialoga. L’introduzione delle acromie e di monocromie. Forse, cosa ancora più singolare, la complementarietà tra pittura e disegno, due pratiche considerate sempre subordinate, che nel mio lavoro assumono un ruolo diverso, citandosi l’un l’altro.

Nel tuo curriculum si nota la partecipazione a numerosi premi. Quanto pensi abbiano influito sulla tua carriera artistica?

Ho partecipato e sono stato invitato a molti premi in questi anni, dal Premio Marina di Ravenna nel 2015, al Premio Cairo nel 2017. Credo abbiano influito positivamente, alimentando un confronto molto ampio e stimolando un atteggiamento competitivo che so di avere sempre avuto. Ho conosciuto un considerevole numero di curatori, galleristi e naturalmente di bravi artisti, con alcuni ho instaurato rapporti professionali che durano nel tempo. I premi sono un’importante vetrina per gli artisti invitati.

Quale rapporto c’è tra la pittura e i media nei tuoi lavori? Cosa cerchi di ottenere attraverso la rielaborazione delle immagini?

Esiste un rapporto complementare tra pittura e media. Non cerco di ottenere niente che sia strettamente correlato alla rappresentazione come atto di creazione, quanto piuttosto alla rappresentazione come sviluppo di un’idea-immagine. Creare struttura visiva attorno alle mie idee. Alimentare le mie intuizioni.

Quali sono le tue fonti preferenziali? E nel caso in cui ci fossero perché le preferisci rispetto ad altre?

Documentari, video amatoriali, foto di archivio e cinema, queste sono le mie fonti preferenziali. Recuperare immagini ed iconografie da internet, o meglio da tutti quei canali di informazione dove il rapporto interpersonale è portato all’estremo, è rappresentativo di una dinamica che è tipica dell’uomo contemporaneo. Ricerco immagini reali, ed evito ogni informazione costruita artificiosamente, valuto esclusivamente immagini documentative, verosimili verità, fatti e accadimenti. La differenza sta proprio in questa scelta, nella consultazione e selezione di materiale reale, proveniente da esperienze di terze parti.

Le tue opere sono generalmente caratterizzate da un rumore di fondo e da immagini disturbate. A queste proprietà si aggiunge spesso la presenza di scene violente o di affronto. Quale messaggio vuoi trasmettere?

Sì, una costante riscontrabile nel mio lavoro è proprio una sorta di aura grigia, una mancata definizione, un disturbo dell’immagine, che da dato mediale (pixel) diventa un‘incertezza voluta o magari un errore fisico e materiale. É come il rumore di una frequenza della radio mentre stai ascoltando qualcosa, che devia la tua concentrazione, e per un attimo ti costringe ad avere una percezione più vacua dell’informazione. É una sintesi tra distacco e coinvolgimento, attrazione/repulsione, un rapporto ambiguo ma significativo per giustificare un’apertura più ampia, una modalità di interazione con gli occhi del presente. Il rappresentare scene violente è una dichiarazione alla nostra condizione anestetizzata strettamente correlata ai mezzi di comunicazione che viviamo e assorbiamo quotidianamente in maniera impassibile. Niente è ormai in grado di scuoterci. Sesso, violenza e sopraffazione sono inversamente proporzionali al grado di narcosi e cinismo che definiscono il nostro sentire oggi.

Nel testo di presentazione alla mostra “Un luogo sconosciuto”, in corso presso Ritmo a Catania, il curatore Gabriele Salvaterra afferma che con i tuoi lavori focalizzi l’attenzione sulle “dinamiche relazionali violente in grado di cambiare la percezione di un ambito da sicuro e intelligibile a pericoloso, inquietante e impenetrabile”. Credi che il concetto di “luogo sconosciuto” possa essere riferito anche al nostro “Io”?

Credo che la percezione dell’incertezza coincida con un intaccamento, anche se temporaneo, di una dimensione profonda dell’io. Il momento in cui non ci si sente più sicuri è quello in cui emerge la vera istintualità animale, i sensi si acuiscono, e si è pronti ad affrontare una realtà diversa. Il luogo sconosciuto è un’area fisica, un luogo reale, ma è soprattutto una sensazione ambigua che si manifesta in una determinata circostanza, è la paura per la propria incolumità. Una scarica elettrica alla spina dorsale, il battito cardiaco che accelera al risveglio da un sogno turbolento.

Cosa hai in mente per il futuro? Hai progetti a breve-medio termine?

Si, attualmente sto lavorando a diversi progetti. A settembre sarò presente in Olanda alla galleria QUARTAIR, in un progetto collettivo intitolato Talking With Hands, curato da Barbara Fragogna e Wieteke Heldens, insieme ad altri artisti rappresentati dalla Fusion Art Gallery Inaudita di Torino. A ottobre sarò ad ARTVERONA con un progetto personale, nella sezione RAW ZONE, presentato sempre dalla Fusion Art Gallery Inaudita di Torino. Questi i progetti a breve termine, per i successivi mi riservo ancora un po’ di tempo prima di parlarne.

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(Copertina) Un luogo sconosciuto, Installation view, Ritmo

(1) Conversations (serie) 2016 fusaggine su carta dim. totali 100x300cm

(2) Gorilla (rose light) 2016 olio su tela 30x24cm

(3) Supremacy (Grey) 2018 olio su tela 30x24cm

(4) About reactions (u.w.) 2018 olio su tela 70x50cm

(5) Still da video / scontri guerriglia Milano 2015 dim. variabili

 

Crediti fotografici: Ritmo