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koobook koobook / palindromo / koobook

 

A distanza di più di mezzo secolo dalla conclamata vicenda della poesia visiva nelle sue differenti armoniche, si registrano oggi diversi tentativi di una sua epistemologia, tassonomia, archiviazione ed analisi critica. Come se dopo tanta effervescenza, fluidità e libertà di espressione, si sentisse l’esigenza di non disperdere un patrimonio che per sua stessa natura sfugge al controllo e perciò stesso rischia la dispersione. La catalizzazione di molte sue istanze intorno alla tipologia del cosiddetto ‘Libro d’artista’ è stata, sin dai tempi di Maciunas, una felice intuizione; qualcosa che ha finito per creare un implicito legame con le pratiche archivio-bibliotecarie, dato che non si sa mai come rubricare detto libro, se alla voce ‘volume a stampa’ oppure a quella dell’opera d’arte. In tal senso Umberto Eco vedeva più in là di altri, quando intuiva che la poesia visuale (Belolli), concreta (Isou, Gomringer, Fahlstörm), sonora (Chopin) affondava le sue radici negli scriptoria della tradizione monastica europea, dunque nelle adiacenze della biblioteca, della schola cantorum, ed inseriva la semiotica da essa derivante nel più ampio raggio delle ‘opere aperte’. Ma una mera pratica archivio-bibliotecaria mal si addice alla natura di quel medium, intermedium, transmedium che è il Libro d’artista. Ogni forma di sua conservazione sarebbe ossimorica. Meglio continuare a pensarlo per come nasceva ai tempi di Fluxus, lasciando alla continua apertura semiologica del testo e dell’immagine le infinite possibilità che il mezzo permette: immaginare il book come un koobook, palindromo che interseca tutti i possibili nuovi media e perciò stesso rimane vitale oltre l’artefatto.

Nel panorama internazionale delle attuali pratiche conservative, ideative e fruitive, un’estrema vitalità distingue il progetto più che decennale di Anna Guillot da altre esperienze archivio-documentali del concretismo e della poesia visiva. Nell’affermarlo, tuttavia, sarà bene delinearne gli scopi, il metodo e gli esiti in continuo divenire, fissando bene, oltre la sua missione primaria, quelli che sono i suoi affluenti, i sottotesti, le sottotracce.

KooobookArchive nasce a Catania nel 2008 ed ha al suo attivo ben sedici progetti (nel 2018, alla data di pubblicazione del primo catalogo sinottico), con l’obiettivo esplicito di approfondire e fare ricerca nell’ambito del multiplo e del libro d’artista. “In particolare, mi è venuto in mente che il libro d’artista contemporaneo, al di là della sua propria dimensione visuale, se si fosse portato su linee video-sonore e performative, avrebbe potuto emanare ulteriori e nuove proiezioni spazio-temporali” (Guillot). Ne è derivata una spiccata attitudine alla sperimentazione intermediale, declinata su differenti piani complementari: innanzitutto di livello istituzionale, chiudendo accordi di collaborazione con centri di ricerca, archivi, riviste, collezioni ed istituzioni artistiche (Accademia di Belle Arti di Brera, Arte e Critica magazine, Balloon Contemporary Art and Publishing, École Régionale des Beaux-Arts de Rouen, Museo Alessi di Omegna, Nana Home Gallery di Vancouver, Omphalos di Enna, RARE Office di Berlino, Studio A’87 di Spoleto, Viaindustriae di Foligno); secondariamente, con un parterre di operatori vasto e diversificato: esperti della parola visuale, performer della voce, video e sound artisti, architetti, fotografi, grafici, editori e teorici dei linguaggi. Al punto che oggi KoobookArchive non è solo un importante storage di esperienze del recente passato, ma è, anche e soprattutto, un focolaio di idee e proposte nuove in continuo divenire.

Ne risulta un carattere dominante del progetto, individuato nell’alto grado d’intermediazione del libro d’artista e del multiplo con il digitale e la fotografia. Nella mostra Light and Sensitive. The image in the artist’s book del 2018, ad esempio, tale carattere è rimarcato sin dal titolo: quel ‘sensibile’ dell’emulsione fotografica accosto al medium ‘leggero’ del supporto video. Intermediazione che sta con tutti e due i piedi nel solco e nella poetica di Fluxus e che ha il suo punto più organico in Due o tre cose che so di lei, di Maria Arena, vero e proprio ‘videolibro d’artista’ generato da un singolare intreccio di media, “compilazione di dati richiesti a scrittrici via email e riportati poi con montaggi di interviste ottenute via skype” con l’obiettivo di una verifica statistica sulle presenze letterarie femminili nelle librerie delle persone intervistate, a rimarcare la disparità di genere nella storia della letteratura. La qual cosa incardina il progetto di Arena al più vasto tentativo di ricomposizione/restituzione dell’opera muliebre nel posto che le compete, in un’ipotetica biblioteca della scrittura universale.

Carattere meritorio dell’impresa etnea è anche il suo sguardo attento, continuato, accogliente verso le nuove leve per il tramite della didattica. Nella sua lunga esperienza di docente presso l’Accademia di Belle Arti di Catania, Anna Guillot ha formato più di una generazione di artisti, modellando rigorosamente il profilo didattico, di studio e di ricerca della sua cattedra nella direzione poi intrapresa da Koobook. Ragione per cui, una parte laterale ma non secondaria d’interventi nelle citate sedici esperienze espositive-performative-attuative, è costituita da allievi ed ex allievi d’estrazione accademica. È inutile dire quanto fragile sia l’impresa, e come facilmente essa rischi di tornare ad assorbirsi nell’indeterminatezza di convenienze locali. Un compito non secondario di questo breve contributo è, pertanto, di ricordare come una nemesi, a me stesso e a te lettore, quanto importante sia garantire continuità didattica e di ricerca a questo meritorio progetto, facendo sì che esso prosegua anche in futuro il suo scopo forse più nobile.

Il catalogo che celebra il decennale di KoobookArchive è ulteriore testimonianza dell’inscindibile legame tra accademia e progetto. L’illustrazione di un’opera talmente complessa non poteva non richiedere una solida esperienza nel campo del Graphic design editoriale. Chiamato a questo scopo dai ranghi dell’ABACT, Gianni Latino vi ha contribuito interpretando al meglio le istanze della Guillot con un impianto estremamente coerente, nel book design del volume a stampa come nella più parte degli in-folio che fanno da corollario alle mostre. In-folio che hanno il valore molteplice dell’affiche, dell’apparato espositivo, descrittivo e illustrativo, e di prolegomeno dell’opera d’arte. Il volume contiene inoltre estratti in lingua inglese a cura di Emanuela Nicoletti.

koobook koobook / palindromo / koobook, versifica Giovanni Fontana nell’introduzione. Il suo omaggio all’opera della Guillot ha carattere probatorio ed il poema che egli scrive in omaggio a Koobook risulta profondamente consonante con gli scopi di quest’ultimo. Consonante non è parola da poco, se si considera il carattere sinestetico/sin estetico dell’Archive, la sua capacità “… di riconoscere memoria e storia / per ripensare la traiettoria di un progetto per sequenze sapienziali / e allora il libro / koobook / si fa luogo per parole in fuga / per orecchi assoluti / per conflitti e moltiplicazioni / per critiche aspre e invettive geniali / per gesti singolari / koobook koobook / spazi dentro spazi / koobook / che pulsano in amebioiche stanze / koobook koobook / capovolte le pupille che” (Fontana). Quel pronome ‘che’, a far da cesura e collegamento al contempo, è un altro ossimoro resosi necessario dalla natura stessa della poesia visiva; quell’andare dall’uno all’altro senso (come organo e come significato), in parte colma l’impossibilità apparente del potere recitante. Perché solo ascoltandolo recitare si comprende appieno il valore perfino erotico del testo di Fontana; la sua lettura rischia d’apparire un differimento, eppure il concatenamento dei versi è così assiduo, il suo ritmo così musicale, il suo respiro così profondo da avvertire anche in lettura l’altezza, il timbro ed il tono delle parole come una partitura. La matrice futurista e dada ancora si avverte in questa importante apertura del catalogo, tutto pulsa come in una camera sonora ed oscura, il libro ritorna, ab origine, verso il delta di venere. Mallarmé impera: “the body in the book / the book in the body / koobook koobook / visto che qui curcetti ricorda l’offerta / aperta / della vagina miracolosa che mallarmé adorava nel libro chiuso / varco d’accesso / portale di sortita / che l’immagine riporta ad una dimensione infinita di accoglienza che // che il libro d’artista infatti / dissi una volta / veste ruoli diversi / e svolge molte funzioni / e indossa innumerevoli maschere …”

L’individuazione di una possibile analogia anatomica ed antropomorfa tra libro e vagina è affidata ad Antonio Curcetti, poeta e traduttore. Fuor da similitudini fuorvianti, tale accostamento non ha però il carattere erotico cui implicitamente rimanda, né scandalizza alla maniera di Courbet. Esso serve, piuttosto, ad indicare una via interstiziale, un passaggio per “nuove proiezioni spazio-temporali”; e di passaggio in passaggio, come tra i ginnosofisti dell’Anuttara Tantra, provare stupore per lo spaventevole delle parole, fino alla concretezza demiurgica di un segno sacro.

Una delle maschere molteplici richiamate da Fontana nel suo poema-omaggio è impalpabile agli occhi di Luciana Rogozinski, si nutre di sostanze filamentose ed ultrafisiche, appare dalla penombra, appena avvertita, come la musa di Ingres alle spalle di Cherubini (1841). Ma, per quanto vacua possa apparirci, quella maschera ha un peso misurabile (Guillot), e come una membrana sottile squarcia lo spazio e il tempo dentro e fuori di noi (Calzolari, Mennillo, Spalletti, Boutin), s’accende, balugina. Cristina Campo avrebbe percepito forse più d’altri il respiro spirituale tra le carte di KoobookArchive, e all’Immagine come parte piumata della teoria (Rogozinski) avrebbe accostato “la gloria e lo scempio della creatura perfetta, la definitiva ironia della polvere. Un ballo, una stella, una morte, un cespuglio di sorbo”.

Il daimonsĭgnum sussurra un’altra lingua, a noi il compito di interpretarne il senso; σύν, insieme, e βάλλω, gettare, come un divinare di astragali sulla sabbia. Il contributo di Gisela Weimann al decennale sembra andare proprio in questa direzione, nella consapevolezza che un libro non è mai esclusivamente un libro, ma è sempre, esclusivamente, un libro d’artista. Da questo consapevole assunto sarà possibile, come l’aruspice sulla spiaggia achea, lanciare le lettere lasciando che esse si ricompongano in sempre nuove unità semantiche, assumendo significati diversi. Nella carne viva del libro d’artista (Barrio), sin dal principio, questa serie infinita di possibilità è chiara: del volume a stampa si potrà fare ciò che si vuole, perfino manducarlo, rompendo la scorza dura della sua autorevolezza scientifica e letteraria; manducarlo e distillarne gli umori in provetta; poi riporre sullo scaffale quell’essenza bavosa e gravida di significati antichi e nuovi, facendone un reliquiario, una quintessenza (Latham), immaginando in tal modo di fagocitare la sapienza umana e restituirla al mondo raffinata, depurata, alcolica (Zorio). Per questa via si muovono in KoobookArchive diversi artisti, con il dichiarato intento di sovvertire i caratteri fondamentali della scrittura, della poesia, dell’immagine, del suono, partendo proprio dal carattere simbolico che il libro conserva, dalle sue prime testimonianze ad oggi. Si può farne dunque uno scarabattolo di vecchi font tipografici o addirittura nasconderlo aumentandone l’alea misteriosa (Margani-Echer); si può scompaginarlo sbiancandone del tutto il corpo in un tentativo di smaterializzazione che molto assomiglia al procedere verso la morte (Malevič versus Opalka versus Savelli); portandosi agli estremi, si può smaterializzarne del tutto la struttura, lasciando che essa ritrovi narrazione e senso (σύν, insieme, e βάλλω, gettare) in un diverso medium (Arena, Isola, Lombardo); si può, soprattutto, far sì che esso non perda una delle qualità maggiormente indagate nelle ricerche artistiche del novecento: il ludismo dell’opera Dada (Chernievskiy, Guillot, Opie).

Un secondo, non secondario, scopo di KoobookArchive, segna la civiltà dei multipli. Il tempo focale che gli viene riservato consiste nelle belle e meritorie mostre In series #1 e #2. Il multiplo d’artista. Attualità e prospettive di un genere, Catania, Palazzo della cultura, 2014-2016. Sorvolando sui significati storici ed attualistici dei progetti, nuovamente sul valore didattico, mi soffermo su quelli territoriali che la Guillot implicitamente persegue. In series #2 nasce dalla proficua collaborazione con il Museo Alessi di Omegna (VB), la citata Accademia etnea, lo Studio di architettura Omphalos di Enna (sotto l’egida attenta di Maurizio Campo) e La Giusa NEXT di Nicosia (EN), “identificata come impresa leader su scala regionale per la ricerca avanzata applicata al design, all’arte e all’architettura”, con lo specifico compito di serializzare alcuni prototipi elaborati per l’occasione. Da tale ventaglio di collaborazioni è derivata una mostra estremamente rigorosa ed asciutta, in cui il valore dei multipli prestati è risaltato appieno anche attraverso un  adeguato allestimento, lasciando nel visitatore il giusto sapore di quell’arte programmata cui tanto dobbiamo in termini di qualificazione artistica del prodotto industriale e di massa, con il definitivo transito di quest’ultimo da oggetto di consumo a bene di valore iconico ed immateriale, dalle prime prove di Duchamp fino all’industrial design contemporaneo. La testimonianza in mostra di tutti i padri fondatori del Gruppo T a Milano nel 1959, da Giovanni Anceschi a Davide Boriani, da Gianni Colombo, a Gabriele Del Vecchi, a Grazia Varisco, è la miglior prova della qualità espressa nell’impresa catanese del 2016 e nel volume che qui recensisco. Al loro fianco, il cimento di alcune tra le migliori personalità italiane della cosiddetta ‘generazione di mezzo’ (Cardinali, Consiglio, De Luca, V. Messina), con il corollario di un gruppo di allievi della Guillot, che a suo tempo hanno aderito alla proposta didattica di un laboratorio collettivo sul tema dell’arte moltiplicabile.