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Il mio Barocco | Matteo Mauro

di Anna Papale

 

Il corpo centrale delle Cucine dell’ex Monastero dei Benedettini ospitano gli arazzi di Matteo Mauro, giovane artista e architetto siciliano, di formazione internazionale, che giorno 31 maggio ha spiegato per la prima volta ai curiosi visitatori.

Matteo Mauro (individuato dalla galleria KōArt: unconventional place di Catania, diretta da Aurelia Nicolosi) lavora sulla sintesi tra arti figurative e le sperimentazioni più all’avanguardia dello sviluppo tecnologico, senza dimenticare la sua terra d’origine, in particolare la città catanese, culla del Barocco e delle sue ricche decorazioni. Per la tendenza che il giovane artista ha al ‘ritorno’, ai suoi occhi gli ornamenti, gli stucchi e le maioliche del tardo Seicento vengono decodificate, reinterpretate in chiave geometrica e matematica, la loro complessità e ridondanza viene semplificata in algoritmi. Ciò che viene mantenuto è un modulo, il decoro, stampato e mutato in arazzi appositamente realizzati per le sale delle cucine del Monastero dei Benedettini. Le opere site specific si ispirano infatti alle maioliche presenti nel complesso monumentale e in dialogo con esse grazie a una scelta espositiva che mira a mescolare le due generazioni, in un rapporto filiale, di somiglianza. La reiterazione del modulo primordiale delle mattonelle – come un cromosoma – viene vivificato seppur con brillanti fluorescenze, talvolta difficile da rintracciare tuttavia presente, patrimonio genetico manifesto in quello che è un vero erede del linguaggio barocco odierno.

 

 

A un primo sguardo si percepisce una forte sinestesia, un’armonia di suoni e colori. Osservando più attentamente si comprende la tecnica minuziosa con cui ogni arazzo è stato realizzato, sebbene questa sia delegata a una stampante, il risultato ricorda le tecniche di incisione per addizione e accumulazione delle maioliche, adesso affidate alla stratificazione di linee che si infittiscono, si diradano, sfumano fino a fuggire dal ritmo imposto dal modulo/algoritmo.

Le curatrici della mostra, le professoresse Federica Santagati e Daniela Vasta dichiarano che l’attiva realtà museale d’Ateneo è orgogliosa di ospitare un giovane artista capace di “rinfrescare” le sale del Monastero. La docente di Storia dell’Arte Contemporanea spiega che l’opera di Matteo Mauro si inserisce nella linea di pensiero del Bauhaus, che compie proprio quest’anno cento anni, i cui influssi non hanno smesso di rimbombare nelle menti degli artisti. “Ciò che a Matteo interessa è il processo e l’idea, – spiega Daniela Vasta – svolge un raffinato lavoro di citazionismo e di iperbole cromatica”. È proprio a Matteo Mauro che tocca spiegare il suo processo creativo e lo fa ricorrendo alla storia, sua principale fonte di ispirazione. “Quando sono stato invitato a visionare le sale in cui avrei esposto, ho notato con una certa preoccupazione uno spazio molto carico”, la sua curiosità però lo porta a studiare cosa avveniva in quelle sale nel passato e immagina dunque i monaci macchinare ogni giorno per assemblare piatti i cui prodotti derivavano dalle terre più lontane. Un’operazione dalla forte connotazione artistica, una contaminazione di culture che a detta dell’artista “la sicilianità non poteva che reinterpretare e fare propria”. La tecnica seguita dal giovane artista non è differente, anzi, mira a una pari contaminazione di linguaggi rispettosa della storia del posto ‘sacro’ e profano a un tempo: “Ad allestimento ultimato, sono rimasto solo nella sala e ho immaginato i monaci ignorare i miei drappi, immersi nella loro operosità giornaliera, fu allora che realizzai che avevo perseguito il mio intento; un equilibrio tra architettura scultura e ornamento è stato raggiunto”.

La mostra è contornata da un’istallazione di Claudio Clafrica che permette di interagire con il proprio corpo con la sala: l’esperienza sinestetica unisce il proprio movimento, che diventa dunque performativo, al suono del mare, un suono modulare come le maioliche rocaille e gli arazzi fluo.