Editoriale

 

Stare con l’immagine

In conversazione con Alessandro Manfrin

 

Se si dovesse individuare una struttura ricorrente nei lavori di Alessandro Manfrin (1997), sarebbe la dicotomia, una tensione tra architettura e rovina, sogno e malattia, pittura naïve e immagini di guerra.

Tonante veduta è un lavoro di found footage. Le clip sono state prese da un canale YouTube trovato sull’applicazione Warmap, utilizzata da reporter per segnalare zone di guerra attiva ad altrə colleghə, e successivamente montate da Manfrin.

Sono clip che mostrano i cieli del Donbass bombardato, e risalgono ad attacchi precedenti a febbraio 2022, quando la Russia entra militarmente in Ucraina. Qui si riconosce il momento in cui la fruizione delle immagini di guerra da particolare diviene diffusa, e di conseguenza anche lo status di testimone si ridefinisce.

 

 

Oggi, di fronte al conflitto in Ucraina e al genocidio del popolo palestinese, per la prima volta si è introdottə ad una conoscenza diretta de i massacri, le implicazioni e le responsabilità.

Con Alessandro discutiamo della necessità o meno di dichiarare il luogo di provenienza delle clip. Ci interroghiamo sul come possa inserirsi un lavoro che utilizza immagini di luoghi in cui vi è un conflitto attivo,  in un contesto storico-sociale in cui la guerra è dichiarata e dichiarante.

In Tonante veduta clip di cieli, alberi, albe si susseguono scanditi dal suono delle bombe. Sono immagini non riconducibili ad un luogo specifico, che si fanno universali. Soggetti politici che, quando posti all’interno di uno schema compositivo, assumono la forma ulteriore di superficie pittorica.

 

Alessandro Manfrin, “Tonante veduta”, 2021 – 2024. Still da video.

 

Alessandro riconosce e cerca nell’immagine trovata un valore estetico, riconducibile alla categoria del perturbante. Effetti di spaesamento possono essere ottenuti quando chi osserva è posto al cospetto di una ripetizione continua di una stessa situazione. La ripetizione visiva della tragedia a cui assistiamo quotidianamente può portare  ad una duplice reazione. Se da un lato potrebbe innescarsi un processo di derealizzazione, dovuto ad una incapacità di riconoscere la realtà che ci viene sottoposta, dall’altro l’immagine potrebbe agire a livello di simulacro, scaturendo reazioni riconducibili all’ambito corporeo, reali. Per simulacro si faccia riferimento alla definizione di Lucrezio, che nel De rerum parla di sottili veli atomici che si staccano dalle cose e che appaiono come del tutto identici alle cose del mondo, i quali, venendo a contatto con i sensi dell’uomo ne determinano le percezioni.

 

 

L’operazione di Manfrin consiste nel recuperare materiale per comporre un oggetto che, nel suo aspetto poetico, pone il focus sulla complessità del ruolo dell’immagine, in un contesto in cui quest’ultima è il più diffuso mezzo di informazione e formazione del pensiero individuale e collettivo. Di per sé in Tonante veduta si produce un’immagine ulteriore, che mostra l’ampiezza delle possibilità di percezione e fruizione.

Come tipicamente accade nei lavori dell’artista, anche qui vediamo convivere più livelli di riflessione, tra voyeurismo, pittura naïve e la tragicità di un confine bombardato. Manfrin, allora, con il suo lavoro forse ci introduce nelle possibili stratificazioni di un’immagine e le sue implicazioni.

Tonante veduta introduce questioni quali la lettura della rappresentazione del contemporaneo, il ruolo dell’individuo – e nel particolare dell’artista –  in un contesto critico, in cui l’informazione si compone di immagini liquide e, infine, mostra il valore poetico e politico della documentazione amatoriale.

Alessandro Manfrin ci pone in una condizione di disorientamento, rendendo visibile la soglia tra distacco e  un’empatia incorporata, tra tragedia e desiderio. In questo spazio c’è la possibilità del dubbio, non di certo nei confronti della postura politica del lavoro e di chi lo ha concepito, ma piuttosto circa la percezione che si ha dell’immagine, le modalità di reazione dell’uomo di fronte agli eventi iconici. Il dubbio in questo caso sarà da intendersi come un esercizio contro il sopore della critica, verso l’iperbole, dove il linguaggio poetico si fa ponte e tramonto.