ArtInterviews

Le alterazioni della memoria

incontro con Elia Brignoli

 

 

 

 

Abbiamo incontrato Elia Brignoli, classe 1996: lavora con e per la memoria. Le memorie che indaga sono spesso “trovate” sui banchi dei mercatini dell’usato, sotto forma di fotografie d’epoca o di curiosi oggetti reminiscenti che fa rivivere assegnando loro una dignità poetica alternativa e offrendo – a chi ne fruisce – nuove prospettive, riflessioni e verità.

 

Elia Brignoli vive e lavora a Bergamo; si forma dapprima alla LABA di Brescia per poi ottenere il Diploma di Secondo Livello all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano. Tra le esperienze rilevanti di Elia si ricordano le residenze artistiche “Essere Nella Distanza” curata da Davide Tranchina e “Walking in studio Non riservato” curata da Cecilia Guida e Rossana Ciocca. Ha inoltre esposto presso il Mo.ca – Brescia, Careof – Milano e Premio Francesco Fabbri per le Arti Contemporanee.

 

 

Collezionista di memorie

Elia Brignoli ama collezionare. Per lui il collezionare non è solamente una pratica possessiva o meditativa ma è soprattutto un rito di passaggio, un vagabondare scrutante e appassionato tra le bancarelle e nei mercati dell’usato dove trova tesori, simulacri, storie impresse in materiali e fotografie; dove può ricostruire, mediante la sua pratica artistica, una nuova forma di memoria o narrazione che quelle immagini o quegli oggetti non riescono a fornire in maniera univoca.  

 

La signora in nero

È il caso del progetto Querido Amelia (2023): l’artista trova una fotografia di inizio novecento raffigurante sei persone in un giardino; cinque di loro sono vestite di bianco, mentre la donna al centro ha un abito scuro.

Se ci si fermasse alla semplice lettura dell’immagine la fotografia sarebbe già interessante per il suo linguaggio incognito ma evocativo.

 

Querido Amelia, 2023.

 

Chi erano quelle persone? Perché la differenza cromatica dei loro indumenti è così evidente rispetto alla donna posta al centro della composizione?

Dietro alla foto, l’artista scopre una lettera scritta a mano in lingua spagnola: la donna vestita in nero è Adelina che rivela, in questa lettera del 1911, il suo amore per Amelia, dopo essere stata internata in un manicomio.

L’artista, desideroso di volerne restituire dignità poetica e narrativa alla storia, decide di progettare una colonna bianca con all’interno l’immagine e la preziosa lettera. Pone all’interno della struttura un impianto elettrico che retro-illumina, ogni sessanta secondi, l’immagine di luce rossa. Lo spettatore è quindi invitato all’’attesa; solo chi ha la pazienza di aspettare può godere di quel tesoro scritto nel 1911 e comprenderne il senso o quantomeno provare a risolverne l’incognita.

L’uso del rosso, oltre che simbolico, è un riferimento alle lettere proibite, celate con il pennarello rosso durante la seconda guerra mondiale. L’opera si configura così come una delicata riflessione sull’attesa e sul tempo.

 

Querido Amelia, 2023.

 

Elia, parlandomi di questo processo progettuale e creativo, fa riferimento a una frase di Cristina Baldacci cui attinge nella sua ricerca: “L’artista […] è come l’onnivoro creatore e consumatore di immagini che, dotato di uno sguardo antropologico, si fa difensore del nostro saper vedere e ricordare.”  

 

Confabulazione

L’artista tuttavia non è interessato a ricercare una verità assoluta per risolvere la memoria di quelle immagini o degli oggetti che raccoglie, Elia si pone l’obiettivo di innescare una mediazione aperta e poetica con l’osservatore. Le immagini fotografiche che l’artista trova sono un mezzo per fornire verità altre, a immaginare finali e comporre narrazioni proprie, l’artista lo invita a comportarsi come quando lui stesso le trova, a porsi interrogativi e quesiti sui loro segreti.

 

Roma, 9 maggio 1997 (2023) parla di confabulazione dei ricordi [1], di come la mente li trasforma, con il passare del tempo, in elementi liquidi e incerti.

 

Roma, 9 Maggio 1997.

 

Partendo da esili frammenti la mente, nel tempo, tende a ricostruirli in qualcosa di poco chiaro, che non corrisponde certo alla verità. Per questo lavoro l’artista si serve del caso di cronaca di Marta Russo, uccisa da un un colpo d’arma da fuoco il 9 maggio 1997 presso l’università Sapienza di Roma e diventando un fatto di cronaca nera esemplare per l’Italia poiché l’unico ad aver usato, in mancanza di fatti concreti, prove soggettive basate sui ricordi. L’artista quindi tenta di ricostruire con vecchie fotografie d’archivio e con la simbologia dell’Università Sapienza – come la dea Minerva – un racconto parallelo e intimo che va a confondersi con l’idea di memoria e alterazione del tempo. 

 

 

Un gesto impulsivo

Il tempo e la memoria, nell’opera di Brignoli, sono anche un mezzo per condividere un dialogo profondo con persone e comunità. Frequentando gli anziani dell’oratorio della sua città un giorno riceve in regalo, da una persona affetta da Alzheimer, una serie di fotografie utilizzate poi per la serie Anamnesi (2020-2021).

 

 

L’artista compie un gesto quasi dissolutivo: getta dell’acido sopra queste immagini, cancellandone ulteriormente la memoria che possedevano. La memoria perduta attraversa più livelli: quella dell’anziano, delle fotografie e anche quella dello stesso artista, che non potrà più recuperare quel livello di memoria che le era stata donata. Un gesto catartico, spirituale ed  impulsivo che l’artista descrive con una frase di Michela Bassanelli “[…] emerge l’idea di un progetto esperienziale dove i vuoti rievocano un’assenza che diventa tangibile” (Oltre il memoriale,  2015). 

 

Anamnesi, 2020-2021.

 

 

[1] Confabulazioni: manifestazione di alcune forme psichiatriche caratterizzata da lacune della memoria per fatti recenti che il paziente colma con racconti fantastici e incoerenti.