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Intervista a Paolo Assenza

 

Chi è Paolo Assenza? Raccontaci brevemente di te.

Mi è sempre rimasto difficile parlare di me, divento timido, di fronte a questa domanda che credo sia da prendere con cautela, perché potrebbe sempre esploderti tra le mani. Dipingevo ombre molti anni fa e passavo molto tempo ad osservare quanto in quei profili si potessero riconoscere, oltre alle fisionomie, altre caratteristiche meno evidenti di quelle persone. Mi sembravano immagini rivelatrici di un mondo che si osserva velocemente o anche di un mondo cosi familiare di cui i dettagli, oramai assunti, vengono meno alla nostra attenzione. In quelle ombre cercavo di intrappolare alcuni di questi frammenti per dilatarne i confini nel tempo. Il tempo rimette in discussione le posizioni, le idee, chi è Paolo Assenza? Ogni visione mi sembrerebbe parziale perché siamo soggetti ad un tempo contratto e questo ci permette di non vedere chiaramente oltre il presente nel quale scivoliamo. Osservo il mio tempo, cercando di tradurne le suggestioni e riflessioni.

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Ti sei formato a Roma all’Accademia di Belle Arti e hai collaborato con diversi artisti tra cui Bruno Aller, Maurizio Mochetti, Nato Frascà, Angelo Bucarelli. Quali artisti ami in particolar modo?

Ho avuto la fortuna di conoscere molti maestri, in particolar modo durante gli anni della mia formazione quando frequentavo il quartiere San Lorenzo di Roma, dove passavano tutti gli artisti, ed è per questo che gli incontri erano la quotidianità. Frequentavo molto i loro studi, vivevo queste esperienze che necessarie a delineare la misura di ciò che mi piace. Questa fortunata vicinanza mi ha permesso di conoscere prima la persona, l’artista, ancor prima di scoprire le loro opere. Era curioso osservare come le singole personalità che avevo davanti e che avevano un ascendente su di me, mi colpissero anche attraverso le loro produzioni. Nel tempo ho compreso quale fosse l’aspetto comune che mi attraeva cosi intensamente: la condizione di sospensione che certe opere e persone ti fanno vivere e che mi riporta ai concetti di epochè. Quegli apparenti aspetti immateriali, atemporali spesso diventano la chiave attraverso cui individuo ciò che mi attrae. Ritrovo soprattutto nella pittura queste caratteristiche, che capto anche in moltissimi artisti pur non usando il mio stesso linguaggio hanno questa capacità di curvare il tempo nello spazio dando loro dimensione misterica alle loro opere.

 

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C’è stato un evento o un incontro in particolare che ha segnato una svolta nella tua ricerca?

Gli eventi che modificano il corso delle cose sono abbastanza frequenti. Se prendiamo in considerazione un arco di tempo molto ampio, anche una minima variazione di direzione – se pur non rappresenta una vera e propria svolta – modifica sostanzialmente l’ubicazione del tuo punto d’arrivo. Non so se ho vissuto qualcosa di così decisivo, qualcosa che ha totalmente cambiato il mio percorso: ci sono stati sicuramente all’inizio degli incontri grazie ai quali ho intrapreso una strada inaspettata. Quando ero allievo di Alberto Boatto ho iniziato a dipingere stimolato dai suoi racconti, che descrivevano il tempo trascorso insieme agli artisti, subendo il fascino di quelle storie a tal punto da sentire l’esigenza di immergermi nella scena contemporanea romana. Recentemente uno tra questi incontri, ha segnato un momento importante e che ho percepito chiaramente: nel 2016 al Castello di Rivara su invito di Franz Paludetto. Erano circa tre anni che giravo intorno ad un’idea della pittura che ancora non riuscivo a concretizzare; cercavo una sintesi nella gestualità e nelle cromie scure, cercavo una densità dei toni che potessero lasciar emergere squarci luminosi. Tentavo senza successo, fino a che in occasione di un sopralluogo al Castello, nel mostrare a Franz le immagini di alcune mie opere rimasi colpito dal suo sguardo. Mi guardava dritto negli occhi, come se mi stesse studiando, come per vedere se c’era in me qualcos’altro che probabilmente intravedeva nelle mie opere. Sentivo come la necessità di dover rispondere a quegli sguardi come fosse una sfida. Tornato a Roma iniziai a dipingere ininterrottamente per tre mesi ed è stato come se si fossero aperte le chiuse di una diga, lasciando me stesso stupito di fronte a quell’incredibile flusso che inaspettatamente si era animato.

 

La tua ricerca spazia dalla pittura al video e all’installazione, come definiresti il tuo lavoro?

Spesso da bambino giravo con mio padre negli studi di Cinecittà, passavo ore a perdermi tra scenografie e sculture e quel mondo stupiva la mia immaginazione con un’intensità tale che credo mi abbia silenziosamente indicato quella che poi è diventata la mia strada dove negli anni mi sono ritrovato quasi senza accorgermene. Già durante gli studi accademici ho iniziato a lavorare nella decorazione e nella scenografia, prima ancora della pittura, ponendomi in uno stato di libertà espressivo, che formalmente non è sempre rintracciabile nei diversi linguaggi che uso. Spesso mi è capitato di accettare di partecipare a mostre perché semplicemente il luogo o lo spazio mi stimolavano un confronto; altre volte le tematiche proposte hanno acceso una scintilla che trovavo interessante restituire attraverso la terza dimensione o nell’immaterialità del video, sottolineando nuove sfumature della mia poetica.

 

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Nel 2014 hai fondato a Roma Spazio Y Art Gallery, realtà da poco approdata a Palermo. Parlaci di questo progetto, di come è nato e delle sue prospettive future.
SpazioY è un’esperienza bellissima di questi ultimi anni, nata da un intenso dialogo con amici artisti con cui ho condiviso e continuo a condividere molte idee. La natura collaborativa e partecipativa del progetto mi ha permesso durante questi anni, di vivere molti confronti che hanno generato continui rinnovamenti all’interno della dinamica del gruppo.
SpazioY vuole essere un Manifesto d’artista, è un’ opera che nasce e si sviluppa attraverso il dialogo tra artisti e curatori, pur non essendo un’ esperienza destinata ai soli addetti ai lavori. Lo spazio si trova e agisce in una periferia romana, il quartiere Quadraro, Borgata Ribelle. Siamo partiti, incontrando soprattutto il territorio che continua a darci da molti spunti di riflessione e suggestioni, le stesse sulle quali costantemente lavoriamo.
SpazioY a Palermo nasce per caso. Da anni sentivo parlare della scena Culturale siciliana, sentivo parlare di Palermo, ed ero attratto da questi racconti grazie ai quali immaginavo un luogo estremamente vivo e stimolante. Qualche mese prima dell’apertura di Manifesta 12, parlando con una coppia di amici palermitani, Raha Tavallali e Ugo Savona, rispetto al tentativo di voler portare SpazioY alla Biennale di Manifesta, in pochi giorni accertata la possibilità di usufruire di alcuni spazi di Palazzo Savona in Via Roma, nel pieno centro storico di Palermo, insieme agli attuali membri del collettivo Ilaria Goglia, Silvia Marsano e Germano Serafini, iniziamo a lavorare al progetto. La dinamica è la stessa di sempre: conoscere il territorio, incontrarne gli artisti, curatori, operatori culturali, per instaurare se pur in punta di piedi, un dialogo con il luogo. La meraviglia è stata quella di incontrare una scena artistica che era esattamente quella che immaginavo dai primi racconti.

 

Come definiresti il panorama artistico che si è delineato a Palermo durante Manifesta 12?
Palermo è un terreno fertilissimo, dove già si delineava un panorama artistico d’eccellenza e dove prolifera già da molti anni una scena estremamente ricca e dinamica, che a mio avviso sta dando una risposta fortissima a Manifesta. Abbiamo voluto raccontare questo fenomeno e rendere omaggio alla città e alla Sicilia nella mostra inaugurata a fine giugno, Talia ricerche siciliane. Talia è un piccolo assaggio di quello che ci ha emozionato e nutrito. Il passaggio su questa meravigliosa terra continua a Spazio Y che ha dedicato la riapertura alle mostre di Sergio Racanati, Germano Serafini, oltre alla collaborazione con Border Crossing grazie alla quale abbiamo ospitato le performance delle due artiste Palermitane Claudia di Gangi e Valentina Parlato.
Sia nell’ambiente che tra la gente si percepisca in questo momento una gran voglia di sciogliere le briglie, dando linfa ad una città che per anni è rimasta ai margini dei grandi circuiti nazionali e Internazionali, malgrado il numero incredibile artisti di grande spessore.
Senza dubbio proprio anche la posizione storica e geografica ha alimentato un’incredibile forza scaturita da un senso di rivalsa e di amore per la propria terra.
Questo aspetto mi ha colpito molto positivamente, stimolandomi ad un confronto con la mia città. Roma da un lato sembra immobilizzata sotto un grande contenitore di cristallo tirato a lucido, dall’altro assomiglia più ad un grande calderone dove continuamente vengono rimescolate esperienze che cercano di emergere. Un contesto territoriale molto vasto e troppo complesso, una città in cui è raro potersi incontrare, come ancora succede a Palermo. Ora si parla tanto di Roma e del suo nuovo assetto museale all’interno del MACRO in cui però le parole relative all’apertura, all’inclusione e al confronto sono usate pericolosamente, soprattutto se rivolte ad un grandissimo numero di artisti (quasi come se tutti fossero tutti artisti…), in cerca di una vetrina, sgomitando come in una gara durante una fiera di paese. Sull’esempio di Palermo si fa sempre piu strada la necessità di confronto onesto e perciò vitale che consenta di accedere alla possibilità concreta di avere un’ incidenza da parte dell’arte e degli artisti sul dialogo culturale e sociale. Altrimenti siamo tutti destinati a diventare una decorazione ad uso esclusivo dei salotti dove rischiamo di essere esibiti come trofei di caccia o esotismi vari.

 

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Puoi darci qualche anticipazione sui tuoi progetti futuri?
Il 20 ottobre inaugurerò PALERMO SPLEEN nel nostro spazio di Via Roma: si tratta di un progetto che riporta in mostra la mia personale esperienza vissuta nella città, in cui saranno esposte opere pittoriche installazioni e video, durante la mostra, ospiterò opere di un gruppo di giovani artisti siciliani, Ennio Parisiliti, Giuseppe Di Liberto, Rita Martella, Stefano Minutella e il cileno J. Pablo Crichton, tutti provenienti dall’Accademia. L’idea di ospitare questi artisti nasce dal voler osservare da differenti punti di vista la visione di una città così densa. Dal punto di vista generazionale invitare dei giovani artisti è interessante soprattutto per la qualità che scopro nei loro processi di ricerca, oltre ad una grande consapevolezza del territorio in cui operano. Questa e le altre esperienze di questi mesi confluiranno in un progetto editoriale a cui tengo particolarmente, che vedrà la collaborazione della casa Editrice Mincione. Le riflessioni, le immagini e i processi virtuosi che stanno nascendo saranno il corpo di un diario di viaggio in cui mi auguro leggere spesso la parola rivoluzione.

 

(1) Paolo Assenza, O santi o beati, 2018, olio e inchiostro su carta.

(2) Paolo Assenza, Spleen, 2018, olio e inchiostro su carta.

(3) Asyndeton, Castello di Rivara,2016, foto Jessica Rivara

(4) Collettivo-SpazioY_mostra-Talìa_ph_Simona-Mazzara.