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INTERVISTA A GIULIO SAVERIO ROSSI

di redazione

 

– Presentati brevemente… Qual è il tuo percorso di studi e professionale?

Sono nato a Massa nel 1988. Ho studiato Pittura all’Accademia di Belle Arti di Venezia e a all’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino, e, fra le due esperienze, ho seguito il corso annuale di specializzazione in Grafica d’Arte al Bisonte di Firenze. Tutte queste esperienze si sono accomunate all’interno della mia ricerca attuale in cui, molto spesso, applico dei processi di analisi e costruzione dell’immagine molto più vicini al mondo dell’incisione che a quello della pittura. Ho partecipato in diversi programmi di residenza, nazionali e internazionali, fra cui VIR Via-Farini-in-residence (2017), C.A.R.S. (2017), Mediterranean Landscapes (2016-17). Nel 2017 ho tenuto la mia prima personale No Subject a LOCALEDUE a cura di Carolina Gestri e negli ultimi anni ho partecipato in diverse collettive in musei e istituzioni fra cui Teatrum Botanicum al PAV Parco Arte Vivente Torino (2017), TU 35 Massa-Carrara organizzato dal Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci (2015) e Real Presence al Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea (2008) e ho esposte in mostre collettive presso diversi spazi no profit, fra cui Spaziosiena, Sulla Pittura: Cingolani, Galliano, Pinelli, Rossi (2018), Treti Galaxie, Viva Arte Viva (2017), e Associazione Barriera, Pills (2016).

– Che musica ascolti? Qual è l’ultimo libro che hai letto? Quali gli artisti che più ti hanno segnato?

Potrei rispondere che ascolto un po’ di tutto… ma non sarebbe assolutamente vero, perchè la musica, avendo sempre avuto un ruolo molto importante per me (ho composto musiche per il teatro collaborando con il gruppo teatrale Semi Cattivi sin dal 2007 e continuo a suonare sia la chitarra che il violino) mi ha sempre portato verso determinate sonorità: classica, garage e post-rock. In sostanza da Mozart ai Mogwai passando per gli Stooges.

Cerco sempre di leggere due libri in contemporanea, un saggio e un romanzo, per non diventare troppo arido. Gli ultimi sono stati La guerra delle salamandre di Karel Čapek e 24/7 di Jonathan Crary. L’opera di Čapek del’36 è un romanzo di fantascienza che ruota attorno alla scoperta di questi strani esseri, delle salamandre molto grosse che finiscono per essere sia civilizzate che sfruttate dal sistema capitalista e, in un excursus paradossale ma verosimile, portano l’uomo alla sua estinzione, il tutto narrato con la tipica ironia tragicomica della letteratura mitteleuropea. Il testo di Crary invece, propone una riflessione a partire dal tempo concesso al nostro riposo notturno da una società capitalista come quella attuale, è molto interessante vedere questo saggio all’interno della prospettiva dei precedenti testi dell’autore che, dopo aver scandagliato la figura dell’osservatore (nel volume Le tecniche dell’osservatore), indaga il ruolo sociale della sottrazione dello sguardo in cui dormire può essre una strategia di dissenso.

Gli artisti che mi hanno influenzato e mi influenzano sono molti, sicuramente Gerhard Richter, Simon Starling, Giovanni Anselmo e Pierre Huyghe… ma probabilmente l’artista che mi ha influenzato di più è Mr. Neville. Un artista di fantasia, protagonista de I misteri del giardino di Compton House, un film di Peter Greenaway. Neville non è un grande artista, è un vedutista che elabora dei paesaggi abbastanza semplici per la realizzazione dei quali si avvale di un dispositivo ottico (inventato da Greenaway), eppure è colui che svolge fino in fondo, in modo radicale, quella paradossalità insita nel visibile stesso che lo porta all’inevitabile morte.

Bordi/Borders/Bords a cura di Davide La Montagna e Katiuscia Pompili. Ci racconti questo progetto?

Il progetto nasce dall’idea di Davide e Katiuscia di invitare uno o più artisti in un dialogo con lo spazio domestico in cui abita Katiuscia stessa, posizionato nel quartiere di San Salvario a Torino. Il mio approccio al contesto è sintetizzabile nella parola spettro. In una duplice declinazione che da un lato lo intende come alterità negativa e dall’altro come analisi visiva e sonora dell’ambiente in relazione ai nostri limiti percettivi.

La seconda declinazione di spettro si sviluppa nell’arco di tre opere all’interno di due ambienti: la porta d’ingresso e la cucina. La prima opera del percorso espositivo, situata sulla soglia d’ingresso della casa, s’intitola 380 nm / 750 nm. I due valori numerici indicano la misurazione dei due colori che aprono e chiudono il nostro spettro visivo, ossia il viola (al di sopra del quale si trova l’ultravioletto) e il rosso (al di sotto del quale si trova l’infrarosso). Ho applicato i due colori uno sull’interstizio di destra e l’altro su quello di sinistra a margine della porta d’ingresso, come ha sottolineato Katiuscia nel testo di sala «La porta d’ingresso segna l’accesso al contesto privato e domestico, la soglia che si attraversa è il limen che antropologicamente simboleggia il rito di passaggio; per Van Gennep – antropologo di formazione francese – infatti dal punto di vista sociale la vita è “un processo scandito da movimenti di separazione e di aggregazione, di uscita e di entrata”».

All’interno della cucina sono installati due quadri della serie Fluidi, le opere riproducono in pittura delle immagini create tramite un programma di simulazione digitale, in cui a due liquidi ho assegnato gli stessi colori dell’intervento sulla soglia d’ingresso. Realizzata con ossido di ferro e violetto di cobalto, l’immagine è destinata a tradire il modello digitale in quanto fra i due materiali s’innesta un processo chimico di ossidazione che, simbolicamente, riconduce i colori d’inizio e fine del nostro spettro visivo all’ossidazione che comporta una perdita di visibilità. L’intervento sonoro Frequenza Schumann consiste nell’amplificare il volume della frequenza della Terra, stimata a 7,83 Hz usando come sorgente l’elettricità stessa della casa. Il suono amplifica il ronzio di fondo dell’elettricità aumentando di ottave la frequenza della cassa di risonanza della terra in modo che sia udibile, proiettando sul piano sonoro le stesse prerogative di 380 nm / 750 nm.

La seconda declinazione di spettro, inteso come alterità e negatività, si sviluppa all’interno della camera da letto dove ho collocato due interventi che si richiamano alla nascita della pittura e della scultura dal ricalco del perimetro dell’ombra, così come vengono tramandate da Plinio Il Vecchio e da Quintilliano, in una tradizione di pensiero che istituisce nell’ombra, nel corpo proiettato, la nascita di una simulazione, esattamente come la simulazione digitale della serie Fluidi. L’esercizio dell’ombra (catasta) consiste in una struttura modulare, costituita da 12 listelli di legno dipinti con nero fumo con sezione quadrata sovrapposti a creare una catasta e posizionati di modo da creare un movimento spiraliforme. La struttura ricalca il campionamento di due punti dell’ombra (data dalla luce naturale), uno sul pavimento e l’altro sulla parete della stanza, e, nel movimento spiraliforme, riporta la rotazione del sole. La struttura segue il perimetro dell’ombra ma il materiale, i listelli di legno fortemente volumetrici, lo contraddicono. L’esercizio dell’ombra #1 e #2 consiste in due tele su cui sono state dipinte con nero fumo le ombre casuali che erano apparse in fase di preparazione mentre si trovavano in studio. Le ombre date dagli oggetti generano una natura morta al negativo e assolutamente nolontaria nella composizione.

Nel corridoio è collocata l’unica opera non pensata esplicitamente per il progetto Picture from another image #2. Partendo dalla differenza nei visual studies fra i termini Image e Picture l’opera raffigura un dettaglio ingrandito di un’altro dei miei dipinti. Costruendo un gioco di specchi nella relazione fra originale e copia, cosi come fra il dominio trascendentale dell’immagine (Image) e il suo apparire come immagine su di un determinato supporto (Picture). Il quadro diventa un indice, una traccia, di qualcos’altro che non appare e una riflessione sullo statuto mobile dell’immagine, intesa come imagofagia: un’immagine che ingloba e divora sé stessa in una reificazione infinita.

– Quale definizione impiegheresti per il tuo lavoro?

Inattuale. Nella declinazione che usa Friedrich Nietzsche all’interno dei Unzeitgemässe Betrachtungen (Considerazioni Inattuali) e nella riflessione che sviluppa Giorgio Agamben in Che cos’è il contemporaneo?. Il mio interesse per la pittura, che è il medium che caratterizza la mia ricerca anche se non la esaurisce, non nasce da un amore spontaneo e incondizionato verso questo tipo di linguaggio ma piuttosto dalla necessità di ricercare all’interno del visibile, in un mondo che si è fatto immagine, uno strumento che metta radicalmente in dubbio la nostra cognizione visiva e, nel farlo, costruisca una serie di alternative al dominante regime scopico dettato dal digitale. La pittura che cerco di sviluppare si basa su cromie cangianti, è tonale e con un’immagine a bassa densità, si contrappone ad un certo tipo di pittura timbrica e figurativa. Si tratta così, di contro a un iperstimolo visivo dato dalla nostra quotidianità, di sviluppare un discorso pittorico in grado di vertere su di un’ecologia dello sguardo, in cui l’immagine non si palesa alla prima occhiata ma necessità di un tempo del vedere generalmente lungo.

– Hai già qualche nuovo impegno per i prossimi mesi? a cosa stai lavorando?

Si, attualmente sto lavorando a diversi progetti. A maggio sarò coinvolto in due mostre collettive, la prima a Bologna alla galleria CAR DRDE a cura di Bruno Barsanti e Gabriele Tosi e la seconda nel progetto di indagine sulla pittura italiana Stupido come un pittore #2 alla Villa Vertua Masolo di Nova Milanese a cura di Rossella Farinotti e Simona Squadrito, nel mezzo parteciperò ad un talk alla Fondazione Merz di Torino in cui racconterò quella che è stata la mia ricerca di tesi specialistica all’Accademia Albertina di Torino dal titolo No Blank Canvas: narrazione e tautologia nell’arte contemporanea.

4 Installation view, L'esercizio dell'ombra (catasta e dipinti) 2018, nero fumo su legno, dimensioni ambientali(2)

10 Fluidi, 2018, ossido di ferro, giallo nichel, violetto di cobalto su lino

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(in copertina) Giulio Saverio Rossi, Picture from another image #2, 2018, olio su tela con Davide La Montagna, No Pain No Gain -Pink, Boa di struzzo

(2) Giulio Saverio Rossi, Installation view, L’esercizio dell’ombra (catasta e dipinti) 2018, nero fumo su legno, dimensioni ambientali

(3) Giulio Saverio Rossi, Fluidi, 2018, ossido di ferro, giallo nichel, violetto di cobalto su lino