Art

Eteronimo #2 

Intervento site-specific di Giuliana Barbano per Église

di Ilaria Cascino

 

Si chiude domani sabato 3 luglio alle ore 19.00*, nella ricca e storica cornice del quartiere Kalsa di Palermo presso Église, eteronimo #2, la mostra personale di Giuliana Barbano, a cura di Cristina Costanzo, in partnership con KAD-Kalsa Art District e media partner Balloon Project.

L’intervento site-specific, ideato e progettato dalla giovane artista, sposa perfettamente l’atmosfera suggestiva del luogo ospitante: la ex Chiesa SS. Gesù e Maria dei Credenzieri, risalente al XVII.  L’edificio è stato duramente colpito dai bombardamenti del 1943, e presenta ancora oggi, nella struttura, danni e segni di deterioramento; inoltre, è caratterizzato dalla presenza di ponteggi edili elevati in occasione dei necessari interventi di restauro.

Attenendosi allo spirito dell’associazione culturale gestita da Iole Carollo, Peppe Tornetta, Alberto Gandolfo e Simona Scaduto, che dal 2016 promuove esperienze artistiche visive e che, dal 2018, con ÉgliseLab, esorta alla sperimentazione nella sede-laboratorio, Giuliana sfrutta tutti gli elementi a sua disposizione: aggiunge componenti, accosta tra loro pezzi perfettamente compatibili, lavora e manipola, in prima persona, materiali e oggetti offerti da tale ambiente e che, non di rado, ritroviamo anche nelle sue opere-installazioni fuori mostra.

Il risultato è una perfetta commistione tra antico e moderno, l’architettura seicentesca accoglie l’opera-ambiente contemporanea, immagini del passato vengono riadattate e dialogano con il presente: tutti questi meccanismi danno vita a un spazio senza tempo. Alle intelaiature d’ausilio già presenti, l’artista incorpora strumenti di supporto per sostenere grandi rotoli su cui ha precedentemente trasferito le riproduzioni fotografiche tratte dagli album di famiglia. Sia per l’assetto architettonico, che per le immagini, gli impianti costruiti sorreggono la memoria.

Nonostante la fotografia non sia il linguaggio predominante nella produzione dell’autrice, la quale lavora con la scultura, con le installazioni e con assemblaggi/analisi/collage, eteronimo #2 si fa manifesto della sua ricerca: l’eteronomia, la memoria, l’immagine, la manipolazione dei materiali e l’interazione con chi osserva le opere, fondamentale per condurre dall’esterno le azioni fisiche ed emotive degli individui. Dallo studio della forma e dell’espressione visiva deriva un’equilibrata dicotomia tra impressione immediata e ragionamento ponderato.

Giuliana sceglie volutamente fotografie che raccontano momenti apparentemente unici e intimi, ma che in realtà rispecchiano la storia familiare di ognuno; le posture, gli oggetti, gli ambienti casalinghi e accoglienti sono elementi comuni di tutti gli album fotografici di famiglia.

I ritratti in bianco e nero, originariamente di dimensioni ridotte, subiscono manomissioni e scannerizzazioni digitali che contribuiscono ad allungare le figure. Tale “allungamento”, oltre a dare una sorta di nota comica alle scene immortalate (sorge anche la curiosità di dispiegare i rotoli e scoprire cosa si nasconda all’interno, o quante volte la stessa immagine si ripeta), coinvolge lo spettatore in una sfera spazio-temporale dilatata, in cui inevitabilmente riconosce i propri affetti e un’esclusiva intimità. Le immagini si estendono e le emozioni si amplificano: i ricordi dell’artista coincidono con quelli degli astanti, si accede a una visione comune della memoria che si trasforma in materia e influisce sulla percezione delle cose.

Elementi ricorrenti nei lavori proposti da Giuliana Barbano sono i supporti d’ausilio e di gioco (passeggini, carrelli e tricicli). Questi sono accomunati dalla stessa funzione e dai materiali ferrosi, e, ancora, dalle componenti tubolari e dalla costante presenza delle ruote: questi fattori li ritroviamo nello spazio che accoglie l’opera e il pubblico li può toccare con mano. Degni di menzione sono l’impianto di sostegno in ferro che percorre le mura, e le ruote applicate al tubo innocente aggiunto alla struttura preesistente, e che irrompe al centro della navata, antistante al video riprodotto sulla parete frontale.

La registrazione, che riprende le tematiche mostrate dalle fotografie, unita al moto rotatorio evocato dalle ruote, e al movimento ondulatorio dei rotoli stesi, conferisce dinamismo e fluidità all’intera composizione ambientale e rende vivo il racconto.

La disposizione della proiezione sul muro, inoltre, allude al progetto eteronimo, mostra concepita da Giuliana Barbano nel 2020, antecedente a eteronimo #2. In quell’occasione, all’interno di un’abitazione privata, l’artista ha presentato una serie di fotografie/fotocopie in bianco e nero ordinate in modo da creare una griglia interna alle immagini allestite sul letto, sull’armadio, sulle pareti e sul pavimento della casa. Nell’esposizione odierna, la griglia torna sul video, e ancora una volta sono i tubi in ferro a crearne la forma (rintracciabile anche sulle mura laterali della navata) e a sezionare geometricamente le scene domestiche che scorrono.

Aggiungere, sottrarre elementi o dare nuovo aspetto alle cose non comporta necessariamente uno stravolgimento della memoria e della percezione del ricordo; le azioni dell’artista offrono, essenzialmente, nuovi punti di vista, inconsuete necessità e la rievocazione di singolari esperienze irripetibili. È possibile interpretare i ritratti portati in mostra come strumenti per descrivere la poetica dell’autrice e, contemporaneamente, per narrare una relazione affettiva e familiare basata sulla fiducia reciproca, dimostrata dai continui riferimenti al sostegno fisico e mentale. Oltre ai “mezzi” già citati, tale sostegno (come gesto di supporto psicologico e di protezione) è reso esplicito dalla ricorrente immagine di un adulto che regge un bambino tra le braccia: in ogni occasione i bambini sono sempre assecondati e sostenuti.

 

*Sabato 3 Luglio, alle ore 19.00, in occasione del finissage sarà presentato un prodotto editoriale dedicato al progetto espositivo con testo di Cristina Costanzo, contributo di Francesco Albano e un’intervista all’artista di Roberta Randisi per Balloon Project.