Editoriale

Eternizzare il paesaggio

 

Esiste un mondo sconosciuto, a cui il nostro, ovvero quello che viviamo e che conosciamo, si è sovrapposto per necessità temporali, rendendo difficile immaginare in modo preciso come potesse essere il precedente. Un mondo di un altro tempo, talmente lontano da essere unico da una mente all’altra che provi a immaginarlo. E così, pur credendolo svanito nel corso delle ere, permane nella sottile linea del tempo che appartiene alla vita del pianeta, richiamato a vivere dalle supposizioni dell’uomo che ne delineano ancora i suoi tratti, i suoi confini e i suoi colori.

Accedere a questi scenari immaginifici equivale a vagare, quasi sperduti, fra le oscillazioni del tempo e ad essere creatori dei luoghi in cui fermarsi, abbandonarsi e perdersi. Nell’incanto di tale pratica, l’artista è di fatto un viaggiatore e frequentatore assiduo dei suoi stessi luoghi, architettandoli con il fine di condividerli, di mostrare i tempi ai quali ha avuto accesso, di fornire altri piani da cui continuare a concepire paesaggi paradossalmente eterni eppure ormai inaccessibili.

Dove approdare per conoscere il mondo perduto lo consiglia Alice Faloretti (Brescia 1992), con un’opera di immensa energia cromatica che accompagna nel buio del tempo svanito, restituendo la luce e la vitalità. Il continente buio (2023) è un dipinto fortissimo, in cui è possibile immergersi e da esplorare grazie ai colori che ne fanno da base, da struttura e da movimento continuo che indirizza lo sguardo verso innumerevoli piani e innumerevoli profondità. In questo modo il colore, elemento principale dal quale tutto nasce –l’artista dispone le macchie informi di colore che sovrapponendosi determinano man mano la composizione–  e grazie al quale tutto può continuare ad esistere nella sua unicità, diventa quel linguaggio sensibile che racconta direttamente all’intimità di ciascuno i paesaggi dell’artista, luoghi di accesso alle più remote zone dell’interiorità emotiva.

 

Alice Faloretti, Il continente buio, olio su tela, 100x220cm, 2023, Courtesy Francesca Antonini Arte Contemporanea

 

Il colore, nell’opera di Alice Faloretti, unisce e separa non solo le apparenti materie liquide e solide che si alternano in modo ondulato lungo tutta la tela, ma anche nelle atmosfere, nel clima e nelle temperature. Addentrandosi sensibilmente ne Il continente buio si è sottoposti a costanti cambiamenti climatici, passando dal tepore avvolgente della primavera, al fresco delle notti estive, fino al gelo più rigido dei luoghi più estremi del pianeta, determinando lo scorrere repentino del tempo, da dove derivano atmosfere contrastanti, seppur vicine, che ne testimoniano l’impossibile staticità. Il tempo perde la propria singolarità, aprendosi a momenti reali o immaginari che esistono contemporaneamente per richiamare dimensioni primordiali facilmente scambiabili per futuri lontani, ma altrettanto immaginabili.

Nulla è lineare, la frammentazione è spesso evidente grazie a soglie che alludono al termine di una scena o all’inizio di un’altra, ma che non vincolano lo sguardo a proseguire secondo una narrazione prestabilita, anzi lo invogliano a decidere autonomamente il proprio spostamento nelle profondità del paesaggio, ad andare avanti e ritornare al punto di partenza con una nuova percezione, con una nuova storia indipendente o particolarmente influenzata dalla precedente. L’uomo, seppur invisibile, ma fortemente ricercato, funge da ponte in questo collage paesaggistico. Ogni individuo ha necessità di ritrovare qualcosa di simile a se stesso in ciò che osserva, perciò ricercarlo nei dipinti di Alice Faloretti, equivale a scontrarsi con le apparenze della sua presenza, con l’impressione di rivederlo in lontananza, dietro qualche roccia o fra le fronde di un albero secolare. Questa ricerca si scontra con illusorie strutture architettoniche che fungono da aperture verso altri mondi, angoli dello stesso paesaggio che diventano continuamente altro e mutano il dipinto e la percezione che se ne ha.

Il continente buio è un’opera capace di risucchiare al suo interno, di disarmante fascino dovuto alla sua complessa struttura compositiva e all’utilizzo magistrale del colore, impiegato come parole di una narrazione quasi interminabile, per far fronte proprio al tempo e al cambiamento del mondo. È impossibile convincersi di aver colto tutto dell’opera di Faloretti, poiché ogni sguardo noterà nuovi dettagli, nuove sfumature o accostamenti cromatici che determinano la materia della rappresentazione, nuovi scenari in cui perdersi o in cui abitare, per scrivere una storia personale, unica ed eterna al tempo stesso.

 

BIO

Alice Faloretti nasce a Brescia nel 1992, dove vive e lavora. Si diploma nel 2018 all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Tra le esposizioni personali: Il continente buio, galleria Francesca Antonini (Roma 2023); Soglie, Mucho Mas! (Torino 2022). Tra le collettive: Inside the womb, galleria Boccaneara (Trento 2023), 21° Premio Cairo, Palazzo Reale (Milano 2022). Residenze tra cui: The Fores Project (Londra 2023), Palazzo Monti (Brescia 2022).