Editoriale

Dicembre, ripeti. Gennaio.

 

Perché non concludere l’anno con la consapevolezza di stare per ripetere tutto da capo? Di non aver fatto insegnamento di ogni errore, di non aver terminato nessuna guerra, di aver condannato a morte altre persone.

Prima del mio strettissimo contatto con l’arte non mi era mai stato chiaro il motivo per cui ogni anno, al suo termine, si parlasse di guerra, di morte, di crisi della società. È servita l’arte per rendermene conto. Perchè l’arte sa cosa distrugge un Uomo. Ne conserva al suo interno le relazioni vitali e queste, come ogni anno, non cessano. Sono lì, galleggianti tra la materia di ogni opera d’arte, come il DNA dell’essere umano e attendono un taglio per fuoriuscire, come sangue caldo da arto. L’arte parla dell’Uomo e l’Uomo parla di se stesso. Ecco il motivo per cui terminiamo ogni anno, per ripetere tutto.

 

Andrea Gallotti, Noname 41, 2021, smalto, pastello ad olio, spray e gessetto su tela, 100x100cm

Andrea Gallotti, Noname 41, 2021, smalto, pastello ad olio, spray e gessetto su tela, 100x100cm

 

Per parlare di quest’ossessione di ripetere sempre tutto ininterrottamente, ho selezionato l’opera Noname 41 di Andrea Gallotti, una tela realizzata con tecniche miste oggettivamente astratta. Il problema che vivono le tele astratte è che qualcuno ci vede sempre qualcosa di figurativo: un prato, un volto, la bomba atomica. Ovvero vengono condannate, alla stregua delle nuvole, alla forma, alla determinazione, al contatto obbligatorio con la tangibilità, spaventati di ciò che non si capisce. Definisco queste persone dei criminali della bellezza. Io sono dell’idea che un dipinto astratto possa essere definito in un modo soltanto, ovvero libero. Certo è che le composizioni, i bilanciamenti e le mescolanze tecniche definiscono una qualità pittorica, ma mi domando con scetticismo se siano necessarie per testimoniare una purezza artistica.

La produzione di Gallotti si articola nel gesto attivatore di uno scarabocchio e quest’ultimo, a sua volta, attiva l’introspezione dell’artista, come una particolare ipnosi che lo porta faccia a faccia con il sé più intimo, alle volte più sconosciuto. Ed è proprio lì che ogni cosa non avviene a caso, che non può in nessun modo autodeterminarsi. È nel non visibile, nelle relazioni vitali dell’artista – che sono le proprie e del resto della società – che vengono scelte le modalità del manifestarsi. Così una linea non sarà mai una linea ed un colore non sarà mai un colore. Tutto ciò che di più libero esiste dall’essere. Ma quanto esiste di libero dall’essere se stessi?

In questo modo, tra piani che si intersecano grazie ad uno spettro di sfumature imprevedibili e di linee di cui non è possibile rintracciarne l’inizio e la fine, si rimane incastrati nella ripetizione, la stessa che governa l’Uomo, che lo intrappola e lo illude di esserne diventa linfa vitale. Allo stesso modo, la ripetizione di ogni gesto indeterminabile, diventa linfa dell’intero corpo produttivo di Andrea Gallotti. Una ripetizione che urla oltre la superficie della tela lo stare in gabbia di ogni individuo, come tigri e leoni sul retro dei circhi, nel continuo avanti e indietro da una sbarra all’altra, privi di colpe, all’interno del loro nuovo e unico spazio vitale.

Risulta chiaro che non sia possibile rinchiudere l’astratto nella forma, ma che sia possibile rinchiudere l’essere umano nella routine, nella schizofrenica monotonia di ogni giorno, nella ripetizione del suo destino anno dopo anno.

L’artista e la propria sensibilità diventano importanti torce per sostenere l’Uomo e la società che lo imprigiona a ritrovare la consapevolezza perduta di essere all’interno di un’immensa gabbia, anche il prossimo anno.

 

BIO

Andrea Gallotti nasce a Monza nel 1993. Vincitore del premio NICE & FAIR/ CONTEMPORARY VISION PRIZE 2023, tra le ultime mostre a cui ha partecipato: Scope Miami Beach, Imago Art Gallery (Miami, 2022); Mantra, mostra personale, Atelier Oteri (Milano, 2023); Repetita, NICE & Fair, Paratissima (Torino, 2023).