Bianca risacca
Mare e comunità nel lavoro di Ricardo Aleodor Venturi
Quando la luce è forte di fari, anche gli orizzonti si colorano. È con questa immagine che si apre Bianca Risacca, mostra personale di Ricardo Aleodor Venturi (1994, Pesaro), a cura di Bianca Basile. Il 18 maggio 2025, a Pesaro, con la mostra è stato inaugurato Studio con finestra, spazio di lavoro e di co-progettazione diretto da Venturi su invito dell’Associazione Festina Lente, progetto sociale che unisce all’economia circolare il sostegno alle comunità marginalizzate locali. Il progetto espositivo si presenta come un viaggio, fisico e interiore, dove opere, materiali, parole e persone si tengono per mano. La risacca, quel moto ondoso che restituisce alla riva ciò che era stato disperso, diventa qui metafora di un processo artistico fondato sulla cura, sulla rigenerazione e sull’ascolto di oggetti e soggetti, memorie e desideri. Lo spazio della mostra si configura come un organismo vivo, un archivio affettivo e sensibile, costruito a partire da oggetti trovati, materiali poveri, frammenti restituiti dal mare o recuperati dalla dimenticanza.
Il lavoro di Venturi è una pratica di attenzione e di accompagnamento, che trasforma lo scarto in testimonianza, individuandone una traccia di personalità. Ogni elemento, dalla sabbia al legno, dalle conchiglie ai regoli colorati, parla della possibilità di un nuovo inizio.
Le finestre che scandiscono lo spazio espositivo sono vere e proprie soglie concettuali: tra umano e non umano, tra visibile e invisibile, tra infanzia e coscienza adulta. Le stanze si succedono come capitoli di un racconto senza soluzione di continuità. In “Condividere”, la memoria personale si intreccia al ricordo collettivo nella figura di Adele Cappelli, che si pone come l’apertura a uno sguardo partecipato che introduce a un diverso punto di vista. Il regolo scultoreo all’ingresso semplice strumento per contare, invita il pubblico ad abbassarsi, per prendere il foglio di sala, ritrovando il gesto della raccolta. L’opera è anche esperienza.
Così, in “Pagine”, una sedia costruita dall’artista insieme a suo padre si fa simbolo di un sapere trasmesso; la libreria è il cuore della stanza, dove lettura e artigianato convivono, in cui gli infissi di legno di cirmolo conservano la forma irregolare del pino appena scortecciato. Il dialogo con la storia dell’arte pubblica attraversa i manifesti appesi, che connettono idealmente il progetto “Sculture in città” (1971) di Arnaldo Pomodoro con il progetto “Dalle sculture nella città all’arte della comunità” in occasione di Pesaro Capitale della Cultura 2024, all’interno del quale Venturi è stato invitato a rappresentare il quartiere Pantano. Il progetto “Che cosa c’è dietro la scogliera?”, a cura di Lucia Camela, ha coinvolto direttamente gli studenti della Scuola Media Brancati in un processo educativo, creativo e poetico. Guidati dall’artista, ragazzi e ragazze hanno raccolto oggetti in spiaggia, scritto poesie, disegnato e composto opere. I regoli, creati dall’artista, hanno fatto da supporto fisico e simbolico: strumenti elementari che suggeriscono di tornare alle basi, per crescere con uno sguardo più limpido.
L’infanzia come luogo del possibile torna anche nei ricordi dello stesso artista: Oh terra marchigiana è uno dei suoi primi disegni, una finestra che si affaccia sul desiderio. Ma il desiderio può anche abitare in un secchio, come dimostra il protagonista della stanza “Seminare”, dedicata ai creativi più giovani, Secchiello dipinto su carta vetrata che trasforma l’oggetto dell’infanzia in gesto artistico e performance effimera, tra New York e Tagliacozzo, tra castelli di sabbia venduti e distrutti, tra denuncia sociale e ironia sul consumismo. Il mare è il grande protagonista della sala “Madreperla”, dove l’opera viva di una barca, la parte sommersa, a contatto con l’acqua, viene semplicemente conservata, fissata, per rivelarne la poesia intrinseca. Poco distante, un piccolo scoglio incrostato di conchiglie poggia su un prato di spugne da cucina: Quante spugne servono per pulire uno scoglio? è il titolo dell’opera, un ossimoro che provoca e commuove, sottolineando la necessità di prenderci cura persino di ciò che ci sostiene. La Familiarità tra uomo e natura si esprime nel tronco centenario donato all’artista, unito a un ramo di gomma incrostato di molluschi: un albero ibrido, un’alleanza viva e concreta tra gesto umano e intervento marino. L’intera mostra è accompagnata da un paesaggio sonoro: Da mare a mare, composto da Matteo Bello, nasce dai suoni registrati in spiaggia durante le raccolte dell’artista e a cui dedicata la sala “Climax”. I rumori si trasformano in musica per quartetto d’archi: onde, cadute, salti, silenzi e moti diventano accordi. Un climax emotivo e visivo tracciato fisicamente su parete dall’artista, attraverso una porzione di partitura – i cosiddetti “moti ondosi” che segnano il ritmo del brano – disegnata a carboncino. Anche in questo caso, l’incontro genera l’opera. Senza relazione, sostiene Venturi, non c’è arte. Così ogni oggetto raccolto racconta una storia, grida la sua memoria, ci conduce verso un sogno condiviso. Studio con finestra, non è solo uno spazio espositivo, ma costituisce un possibile modello etico, un’alleanza concreta tra artista e comunità, dove l’arte smette di essere icona per pochi e torna a essere sogno per tutti. Il tempo delle mostre per soli addetti ai lavori è finito, ci ricorda Venturi. Serve ora un’arte che si offra, che si esponga, che accolga, perché, come la risacca, tutto può tornare, se lo si sa (ac)cogliere.
Intervista all’artista
Ricardo, il titolo della tua mostra è Bianca Risacca. Cosa rappresenta per te questa immagine?
La risacca è un’energia primordiale, come quella di un bambino. Sembra ritirarsi ma ritorna sempre, portando con sé oggetti, memorie, possibilità. Il bianco, spesso associato alla purezza, è la schiuma di quell’energia che svela, rimescola, restituisce. Come le onde, come i bambini, l’arte ha il compito di sorprenderci sempre.
Quando hai iniziato a dare nuova vita agli oggetti trovati?
Forse tutto è cominciato con i castelli di sabbia. Il secchiello dell’infanzia è il primo vero calco di uno scultore: contiene, forma, immagina. Anche il granello più umile può trasformarsi in scoglio. È un gesto di cura verso la materia, e verso ciò che sembra insignificante.
Com’è nata la collaborazione con il compositore Matteo Bello?
Matteo è venuto a Pesaro a registrare i miei gesti in spiaggia. Da quei suoni ha composto Da mare a mare, per quartetto d’archi. È una sinfonia che segue i moti ondosi, i crolli, le rinascite. L’arte nasce dall’incontro. Ogni oggetto raccolto ha una voce: Matteo l’ha ascoltata e l’ha tradotta in musica.
Cosa significa per te fare arte pubblica e partecipata?
Significa ascoltare. Non imporre una visione ma aprire spazi. Gli studenti di Pesaro mi hanno insegnato moltissimo: non dobbiamo dare risposte, ma creare luoghi dove possano emergere nuove domande, nuove libertà.
“Studio con finestra” può diventare un modello virtuoso a livello territoriale?
Credo sia già un primo esempio di alleanza tra artista e comunità. L’arte oggi ha bisogno di essere sostenuta, non più idolatrata. Serve una rete, un’energia condivisa. Il tempo delle mostre solo per addetti ai lavori è finito. L’arte deve tornare a sognare per tutti.
Domenica scorsa è stato inaugurato il progetto di mediazione della mostra, sostenuto dall’Associazione Festina Lente, che coinvolgerà sino a settembre gli studenti e le studentesse della Scuola Media Brancati. Ogni domenica i ragazzi e le ragazze che vorranno partecipare al progetto guideranno il pubblico in una visita personalizzata dagli stessi mediatori, che saranno retribuiti e regolarmente assicurati. I percorsi di visita saranno sviluppati insieme all’artista e alla curatrice della mostra durante dei workshop preparatori. Ancora una volta il messaggio è quello di arte che sostiene e che va sostenuta.














