ArtReviews

 

Interspecie: Cronache da un mondo possibile

Barbara Cammarata alla Fondazione Brodbeck di Catania con An Interspecies Journey

 

Fino all’8 giugno 2025, negli spazi espositivi della Fondazione Brodbeck di Catania, è visitabile la mostra personale di Barbara Cammarata An Interspecies Journey a cura di Cesare Biasini Selvaggi e Patrizia Monterosso. L’esposizione, composta da oltre 60 dipinti, 6 sculture tessili e alcune installazioni ambientali realizzate dall’artista tra il 2015 ed il 2025, si propone, tramite la costruzione di un mondo fantastico popolato da ibridi uomo-animale, di creare uno spazio immersivo in cui l’equilibrio interspecifico così chimericamente rappresentato si fa metafora di un auspicabile patto biocentrista e antispecista.

 

«Il nostro habitat, e insieme il pianeta, sono in crisi. La nostra specie sta per subire una grande mutazione. Siamo esseri periferici in relazione osmotica con tutti gli altri. È necessario osservare con occhi nuovi per scoprire che non occupiamo alcuna posizione privilegiata»

 

Questa citazione diretta dell’artista Barbara Cammarata (Caltanissetta, 1977) apre l’opuscolo di sala. La dichiarazione è programmatica ed offre sin da subito una chiave di lettura chiara, tanto degli scopi della mostra quanto della ricerca artistica in essa contenuta; la critica allo specismo in prospettiva postumana è, infatti, il punto di partenza (anch’esso dichiarato) da cui si sviluppa la sua indagine e che trova nella pittura il medium principale. Da tale premessa prende avvio la costruzione dell’esposizione che va articolandosi attraverso due padiglioni monumentali di grande impatto. Le sale sono ben differenziate tramite una marcata caratterizzazione delle modalità espositive, che vedono contrapporsi luce ed ombra in primis, così come una differente vocazione contenutistica: l’artista da un lato, il suo mondo immaginativo dall’altro.

 

 

Padiglione I

Il primo padiglione, caratterizzato da un ambiente limpidamente austero dalla forte luce uniforme, si offre come ricostruzione della “cabina mentale” dell’artista. Ed in effetti in esso troviamo, oltre ad alcuni dipinti a parete, l’intallazione Feel What I Feel, il lavoro più datato in mostra (2015), in cui un copriletto, proveniente dal corredo dell’artista, è stato steso e sospeso a mezz’aria così da celarne inizialmente la parte sottostante, ma che, una volta ceduto ad un piccolo slancio esplorativo, ci rivela un’uniforme copertura interna composta da spilli penduli. L’impressione che se ne ricava è formente tattile e nell’esporre l’occhio nudo al di sotto della superificie acuminata si fa via via strada una flebile e scomoda sensazione di pericolo. Questo tratto sensoriale ed esperenziale risuona con naturalezza col tema dell’ambiente familiare: tensioni sottili, desideri e conflitti del resto permeano spesso gli spazi più intimi, facendo vacillare il fragile confine tra sicurezza e vulnerabilità. Al polo opposto della sala è esposto l’aggettante Alles ist blatt (2018), un lungo rotolo di carta steso verticalmente in cui vi sono dipinti diversi cerchi sovrapposti contraddistinti da una supercifie pittorica lavorata e da evidenti colature, elementi questi che caratterizzeranno poi buona parte della pittura esposta. Sebbene da un punto di vista formale questo lavoro possa sembrare meno interessante, il cerchio è un simbolo particolarmente caro alla Cammarata, il cui interesse per il buddismo, in particolare nella declinazione della Soka Gakkai, la porta a considerarlo come emblema di perfezione e totalità al cui interno tutti e tutto risultano interconnessi in un costante flusso amalgamante. Da qui il passo è breve: il cerchio, da figura geometrice dell’interiorità assoluta, può farsi augurio capace di mettere in stretta relazione tutti gli esseri viventi, legandoli in un’alleanza priva d’ogni gerarchia. Un concetto, questo, che troverà piena manifestazione e specificazione nel racconto-mondo del secondo padiglione, ma di cui abbiamo già un’anticipazione nel possente officiante uomo-leone che custodisce la sala.

 

 

Padiglione II

Il secondo padiglione è certamente più audace e complesso del primo sia contenutisticamente che strutturalmente. Il progetto, ideato dallo studio di architettura ANALOGIQUE e realizzato da Paolo Fontana, prevede infatti l’utilizzo di sottili profili metallici per l’esposizione delle opere, che, estendendosi nello spazio, tracciano una pianta libera completamente permeabile allo sguardo. L’ambiente cupo, illuminato unicamente dai fasci luminosi diretti sulle opere, completa la presentazione concorrendo alla creazione di uno spazio immersivo intenzionalmente concepito come ecosistema; una biosfera isolata vivificata dalla particolare fauna raffigurata. È qui che vengono rappresentate le istanze antispeciste dichiarate ed in cui il viaggio interspecifico può svolgersi. In questo spazio troviamo infatti collocate alcune serie di ritratti di teste (visi) animali innestate su busti umani, ciascuna illustrante diverse età (Youth, Teen, Adult), alcune chimere danzanti (Ring a ring o’ roses), una donna-leone acquattata (We are going on a bear hunt), così come una cullante ninna nanna cantata dalla madre-capra al figlio-gorilla (Rock-a-bye-baby) ed una donna-ariete ritratta con fare meditabondo (Plumelia). Tutti i dipinti sono connotati da una pittura stratificata, caratterizzata principalmente da toni pastello e da vistose colature. Quest’ultime, ragioni evidenti, innanzitutto, della loro natura materiale e pittorica, contribuiscono notevolmente, in questo perturbante favolistico in cui ci troviamo, al senso del caduco; del miraggio. Tuttavia l’opera che probabilmente meglio, e più finemente, racchiude lo spirito della mostra è Domestic Garden (2024). Il quadro, reso con un’ottima tecnica per velature, ha come protagonista assoluto una pianta: selvaggia ed al contempo perfettamente ordinata, addomesticata eppure infestante nel suo aggressivo dilatarsi sulla superficie pittorica, appare perfettamente leggibile ed organica nelle sue fioriture. Anche la flora, quindi, è parte integrante, pienamente partecipe, di questo ecosistema. La vegetazione è, infatti, sempre posta sullo stesso piano dei suoi abitanti motili tramite una spiccata connotazione psicologica, tanto nella sua connotazione spaziale all’interno dell’economia del quadro quanto nell’impiego di alcuni motivi, come il classico “occhio” di betulla.

 

 

 

Ciò nonostante, benchè ci siano dipinti dall’eccezionale qualità pittorica, è anche vero che in certi casi la resa risulta quanto meno oscillante (come nel caso dei ritratti su fondo rosso o dei lavori della quadreria) e che l’intento narrativo (il prospettato viaggio) venga in parte tradito dalla fissità iconografica che attravera tutti i soggetti, che, anche se in alcune pose sembrano rifarsi ad un certo espediente narrativo basato sulla citazione, non riescono ad essere incisivi o a comunicare qualcosa di più che vada oltre le istanze che già conosciamo (e su cui siamo già tutti d’accordo). Complice, in verità, anche una resa pittorica, benché, come detto, in alcuni casi finemente lavorata, che di fatto restituisce un gusto glamour all’insieme espungendo qualsiasi, anche sottile, crudeltà di fondo, e che tende ad affidarsi troppo al contesto globale e alle garanzie di valore che il tema trattato può offrire.

Un difetto, questo, che colpisce anche le sculture tessili della serie Microorganism, le quali, pur puntellando sapientemente il percorso, e offrendo una valida immagine di tenerezza metamorfizzata, appaiono formalmente trascurabili, ad eccezione del lungo “totem” svettante che marca, come un faro, la sala.


 

Una provvida alleanza

Ad ogni modo, la presenza di alcuni elementi meno incisivi non inficia l’impressione globale che, nel fornirci un’onirica realtà alternativa, suggestiva e fiabescamente deformata, ci offre anche un’opportunità d’accesso ad un mondo in cui ogni illusione di privilegio è rimossa ed un nuovo sguardo risulta possibile. Uno spazio, dunque, essenzialmente etico, che, nel riconnetersi alla realtà reale, ci informa, citando le parole tratte da un intervento della curatrice Monterosso, che:

«[…] la competizione non può più avere spazio. L’alleanza e la reciprocità fanno si che il mondo non sia più uno spazio struttrato da parti (siano esse umane, animali o vegetali), ma vi è un’immensa cosmogonia che si rinnova e trasforma; che crea un’evoluzione che prepara, finalmente, la vita anche per gli altri.»

 

 

Barbara Cammarata, Ring A Ring A Roses, 100×150 cm, olio su lino, 2021

 

In copertina: vista della mostra, Ph A. Garozzo.