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DATA BODIES

corpo e memoria secondo William Aparicio

 

In chiusura presso Art Studio Finestreria di Milano la mostra Data Bodies, personale del fotografo William Aparicio a cura di Claudia Ponzi. Parole chiave: smaterializzazione e archiviazione. Identità e fisicità soggette a “scansione” si trasformano in informazioni. Una riflessione a latere sul concetto di memoria ma anche occasione per indagare la postfotografia.

 

Il corpo e la postfotografia

La figura è ciò che meglio esprime l’individualità dell’uomo. Tramite il corpo costruiamo la nostra identità: ogni giorno abbiamo libero arbitrio sul modo di vestire, di truccarci o di tagliarci capelli e barba. Tramite la nostra persona allo specchio ci riconosciamo e riconosciamo il nostro essere parte di un insieme. Senza rendercene conto, in quest’epoca segnata dalla tecnologia e dalle intelligenze artificiali, consegnamo la nostra immagine ad un indefinito database. Come un simulacro composto da informazioni numeriche il corpo si smaterializza e viene catalogato nell’ecosistema digitale.

La riflessione sul lavoro di Aparicio in merito al corpo parte da una domanda:

 

Ma se la nostra identità si esprime attraverso la fisicità, se essa si annulla,

come possiamo parlare ancora di questa corrispondenza?

 

Nato a Bucaramanga nel 1985, William Aparicio è un artista e fotografo colombiano. Si laurea dapprima in Arti Plastiche presso l’Università Nazionale della Colombia e successivamente si specializza in fotografia portando avanti una riflessione sull’immagine digitale nel mondo contemporaneo.

Aparicio s’ispira alla pratica della Postfotografia definita da Joan Fontcuberta, ovvero quella fotografia dell’era della “seconda rivoluzione digitale”, della sfera virtuale, di internet, dei social media; una fotografia massificata e onnipresente. Una produzione fotografica che non corrisponde più alla rappresentazione della realtà e alla conservazione della memoria ma che si fa largo nella virtualità anche e sopratutto mediante la manipolazione.

Da questi presupposti teorici prende avvio il lavoro fotografico di Aparicio che scandaglia il corpo umano tramite l’uso dello scanner fotografico, componendo così delle micro-narrazioni visive. L’identità viene tradotta in informazione digitale ed il corpo si dissolve mentre ogni poro della pelle si trasforma in un pixel. Come in un archivio digitale, il corpo umano viene smaterializzato: così disgregata la “presenza fisica” non è più necessaria.

 

Lo scanner non la fotocamera

Il modo di operare di Aparicio è l’espediente perfetto per entrare in sintonia con i soggetti. I modelli, scelti casualmente dall’artista, familiarizzano con lo scanner fotografico e “posano” per il fotografo senza vivere l’inibizione data dalla macchina fotografica. Sentendosi liberi gli individui selezionati abbracciano lo scanner facendolo diventare un prolungamento del corpo stesso, assumono involontariamente pose a volte ludiche e altre teatrali.

Successivamente l’artista, nel ricomporre l’immagine, crea il contrasto con la visione distopica della tecnologia. La luce dello scanner accoglie il calore del corpo scomponendolo mentre lo sguardo del fotografo ricompone l’immagine riappropriando alla materia la propria identità tattile.

 

 

Le risposte dell’artista

Nell’opera “Studies on singularity – dove batte il cuore”

come hai scelto i soggetti da “scannerizzare” per i tuoi lavori?

Ho scelto i soggetti in modi diversi. Si tratta di una serie fotografica a lungo termine; nella mostra ci sono tre foto che ho fatto al Milano Pride 2023. In quell’occasione ho avuto la fortuna di essere accolto da un parrucchiere della zona, una volta sistemato il computer e lo scanner in strada, ho fermato le persone per strada

e ho chiesto loro di partecipare al progetto.

La scelta delle persone che fermo è guidata dall’intuizione, in questo particolare progetto il processo è molto divertente, mi piace l’espressione che dimostrano quando racconto loro l’idea.  

 

Dove batte il cuore

 

La fotografia per William Aparicio è un estratto del vero; un racconto per immagini carico di storia. In ”L’effetto muybridge” i fotogrammi in movimento rendono omaggio al lavoro del fotografo britannico del XIX secolo. Muybridge ha immortalato l’istante pre-cinematografico costruendo un momento fondamentale nella storia dell’arte. Aparicio dissolve l’istante creando una radiografia rarefatta del movimento. Il limite fra ciò che riconosciamo come vero, il corpo di una donna, e la visione quasi del tutto priva di densità data dallo scanner fotografico è simile ad un gioco di illusione ottica o ai tentativi di riproduzione statica del movimento sperimentati dai futuristi.

 

La visione dei corpi che l’artista restituisce nelle sue opere è una percezione distorta ed allo stesso tempo possibile realtà; instillare il dubbio sulla veridicità della rappresentazione, il confine tra realtà ed illusione, è uno dei punti focali del fare fotografia di Aparicio; cosicché la realtà stessa possa essere messa in discussione dallo spettatore.

 

L’effetto Muybridge, 2011.

 

In mostra c’è una sequenza di immagini dove, attraverso lo studio del movimento, una donna si dissolve diventando un grumo di pixel. Cosa ti ha spinto alla ricerca di questa visione del corpo?

Da qualche anno, il sogno di un cane robot popola la mia mente. La nostra presenza fisica non è più necessaria, in un estremo tentativo di connessione siamo stati trasformati in esseri digitali come se fosse una storia di fantascienza e il nostro dna nel 2023 sembra collegato a internet attraverso una particolare mutazione di 0 e 1.

Ci affidiamo alla velocità e alla precisione dell’intelligenza artificiale che cerca di guidare il nostro futuro.

 

L’effetto Muybridge, 2011.

Fotografia e memoria

In mostra anche una serie di lavori che riguardano il paese di origine di Aparicio. William raccoglie ed archivia le immagini della Colombia. In “Pausa Intercrònica” e “Codificando Microfilms” la memoria fisica di un luogo – immagini e parole su carta stampata da un archivio della Biblioteca Nazionale della Colombia – viene decodificata in immagini digitalizzate che assumono connotati linguistici e visivi alterati anche grazie all’uso dello scanner.

 

Pausa Intercorográfica, 2013.

 

Codificando Microfilms, 2013.

 

Qual è il legame tra memoria e opera artistica nella tua ricerca?

Per me un’opera d’arte è un contenitore di memoria, in un museo o in una biblioteca possiamo viaggiare nel tempo. Nel mio lavoro mi interrogo non solo sulla digitalizzazione del corpo, ma anche sulla digitalizzazione della memoria. Ad esempio, i nostri ricordi fotografici sono archiviati su hard disk o su cloud, e oggi è difficile immaginare un mondo senza schermi.

 

Così come il corpo viene dissolto a memoria fotografica, allo stesso modo, la carta stampata assume nuova forma. I progetti artistici di Williamo Aparicio ci invitano a riflettere sul concetto di archiviazione come meccanismo simbolico del nostro tempo, sottolineando come, i dispositivi digitali, sono ormai indispensabili nella costruzione della memoria personale e collettiva.