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Memoria, natura e artificio

Studio visit ad Andrea Polichetti

 

Nello studio romano di Andrea Polichetti si apre un nuovo dialogo tra mondo industriale e natura primitiva. La memoria della materia ci accompagna nel viaggio attraverso un dialogo tra istinto e artificio, sperimentando il disegno automatico e le antiche tradizioni artigianali.

 

 

“Avere le mani nella testa”, un’espressione efficace nel esplicare l’esigenza che un artista, come Andrea Polichetti, ha nella progressione della sua ricerca. I materiali differenti da lui utilizzati compongono un arsenale creativo pronto a scalfire la tutt’altro che morbida superficie dell’arte contemporanea odierna. La ricerca di Polichetti presenta una forza arcaica, non tace il desiderio di comunicare con il fruitore dei suoi lavori attraverso un alfabeto primitivo che si riferisce a ad una linguistica inconscia, fatta non di parole ma di tracce e reminiscenze.

Oggi l’artista lavora all’interno del Cave di via Merulana a Roma, studio nato per volontà del curatore Giacomo Guidi, fondatore della galleria Contemporary Cluster. Lo spazio di lavoro si presenta come una cornice dura, letteralmente rocciosa, coerente con la ruvida ricerca in cui Polichetti ha scelto di impostare la sua azione artistica. Graffiante e di peso è infatti l’intero corpus di opere che l’artista romano, classe 1989, ha prodotto in più di sei anni, dopo una lunga esperienza di formazione come tecnico per tante realtà del sistema artistico contemporaneo romano e nazionale. Le opere manifestano un’esigenza di corporeità, un compulsivo bisogno di emersione e tangibilità.

 

 

Polichetti mette in atto un carotaggio della sua memoria personale: l’attivazione del suo processo creativo e della fase iniziale della sua produzione prende piede dal disegno automatico che lo ha condotto alla definizione di un primo sistema grafico su carta poi confluito nella tridimensionalità della scultura. Le sue strutture in ferro, realizzate a stretto contatto con artigiani esperti, nascono infatti da immagini bidimensionali che tracciano una linea capace di connettere temporalità opposte. «Il ferro possiede una qualità primitiva. È un materiale al quale sono legato essendo cresciuto nella bottega di mio padre che è un fabbro. È un materiale – Spiega Andrea Polichetti – che ha definito le sorti della vita umana e ha una storia millenaria. Il ferro, pur sembrando così resistente, è però modificato fortemente dall’ossigeno, un elemento che nonostante sia fondamentale alla vita in questo caso è anche in grado di consumare un oggetto davvero difficile da corrompere». La scelta di utilizzo del ferro evidenzia come lo stesso ossidarsi del materiale divenga estensione dell’atto creativo da cui emerge l’opera stessa, innescando una volontaria perdita del controllo dell’autore sull’oggetto. La traccia dell’ossidazione diventa rappresentazione del passaggio di una natura ne benigna ne maligna, semplicemente superiore, alla quale l’uomo può semplicemente chiedere una civile convivenza.

 

La natura dominatrice si scontra con la forte anima industriale da cui Polichetti eredita un approccio che trascina i fruitori del suo lavoro fino alla stagione dell’Arts and Craft britannica di fine ‘800. La grande intuizione di Morris, Pugin e Ruskin nel riportare l’artigianato al centro del discorso artistico viene sposata dallo stesso Polichetti che conversa con l’immaginario industriale privandolo della sua freddezza. Dimostrazione di tale arcaica e indomabile presenza è la serie di cianotipie prodotte durante il 2020. Il dialogo con l’elemento naturale si esplica nella presentazione di piante infestanti che crescono nelle aree di campagna, la cui immagine viene intrappolata su pannelli di mdf. L’artificio e il naturale si incontrano, si permeano vicendevolmente, riformulando una narrazione che non punta alla denuncia della sopraffazione dell’una sull’altra, piuttosto alla ricerca di una sintesi della loro fisiologica e attuale convivenza.

 

 

La ricerca di Andrea Polichetti si sintetizza infatti in una terminologia iconografica anti-industriale: la produzione del manufatto è figlia di un’indagine concettuale sul tempo e sul suo scorrere ma è nella resa concreta che si rintraccia l’ossessione per il dettaglio, cura maniacale viene posta nella scelta dei materiali che solo nella loro coesione definitiva possono dare corpo all’idea. Gli stessi strumenti di lavoro superano la loro funzione tecnica, emergendo come tracce di un passaggio nello spazio fisico e ideale su cui Polichetti prosegue come un funambolo sospeso su un filo invisibile.

 

Nella serie “Etching Meo“, realizzata nel 2021 in collaborazione con la Litografia Bulla di Roma e connesso al tributo che Polichetti dedica a Salvatore Meo, avviato con la bipersonale Enviroments, in cui l’artista ha posto i suoi lavori in dialogo con le opere del maestro. Polichetti lascia imprimere sulla pietra litografica la presenza di strumenti da lavoro comuni come barattoli, pluriball, carta vetrata, riemerge l’interesse per il lavoro di bottega. Questa serie di esperimenti continua oggi con il suo ciclo più recente che prende vita dopo essere stato a lungo fermo a decantare. Andrea Polichetti forgia il suo repertorio artistico con la stessa energia di un fabbro che manipola la più dura delle leghe, facendo emergere dalle superfici più grezze una disarmonica e cacofonica grazia.