Art

Ritagli di…

Una chiacchierata con Alex Urso

 

Identità chimerica quella del marchigiano Alex Urso (classe 1987), che si dimostra uno studioso dedito, un osservatore attento, un uditore paziente e un interlocutore rispettoso del discorso artistico, in cui ritaglia silenziosamente il suo spazio. Ad accompagnarlo è la costante del racconto, che rimbalza dalle parole alle immagini a piccole scenografie tridimensionali in cui la pratica del collage che lo caratterizza trova spessore.

I mondi che si originano dalle sue mani sono esposti in personali e collettive inscritte nei confini nazionali (Casa Testori e Fondazione Brugnatelli a Milano), europei (Estorick Collection a Londra, Monopol Gallery a Varsavia, Baltic Gallery of Contemporary Art a Słupsk, Magacin Gallery a Belgrado, Entropia Gallery a Wrocław) e d’oltreoceano, in particolare a Guadalupa dove dà vita alla Biennale de la Biche.

Artista, scrittore, curatore, critico (e persino imbianchino), Urso ha più “anime” che rispecchiano in toto i ritagli che compone.

 

Alex, passando in rassegna il tuo percorso universitario, noto una costante presenza di carattere umanistico – che alterna ad impronte di stampo letterario tracce intrise di materia filosofica. Infine, attracchi sulla Terra dell’arte che, a suo modo, contiene entrambe le manifestazioni descritte.

Perciò, sono curiosa di sapere se, e in tal caso come, le conoscenze assimilate in questi termini si sono intersecate al tuo essere artista o, viceversa, in che modo questa nuova definizione identitaria ha riplasmato il tuo pensiero.

Immagini e scrittura sono sempre andate di pari passo nel mio percorso, al punto da sovrapporsi, compensarsi, fare a pugni per quale dovesse essere lo strumento attraverso cui leggere il mondo. Ho una formazione letteraria, e ancora oggi la maggior parte del mio tempo lo passo a scrivere.

Quella di intraprendere una carriera artistica è stata una possibilità in cui ho iniziato a credere già adulto. Ho rimandato la prospettiva di un percorso artistico a lungo, per timore o per pigrizia. Non ho frequentato un liceo d’arte, e quando sono entrato in accademia l’ho fatto spinto dal desiderio di cercare ciò che potesse essermi utile per affinare il mio linguaggio.

Il risultato di questa commistione tra immagini e parole è ancora oggi presente nei miei lavori, prima di tutto a livello formale (vista la presenza costante, almeno in una prima parte del mio percorso, di parole e citazioni all’interno delle opere). Credo però che l’aspetto che meglio semplifica questa convivenza tra immagini e scrittura sia la mia tendenza al racconto. Mi piace che le mie opere raccontino delle storie.

 

Alex Urso. Untitled. Collage, 2013. Photo courtesy of Alex Urso

 

Da dove muove il tuo processo artistico? La tua pratica contempla l’utilizzo di svariati materiali e linguaggi che evolvono da un’iniziale struttura bidimensionale in diorami tridimensionali, che aprono a squarci utopici e distopici. Ce ne puoi parlare?

Per diversi anni la mia produzione artistica è stata caratterizzata dalla creazione di diorami: teatrini all’interno dei quali privato e universale convivono, offrendo all’osservatore un ruolo partecipativo. Si tratta di composizioni tridimensionali nelle quali il pubblico è invitato a “entrare”. Sono opere dalla forte componente poetica e narrativa, che ho iniziato a realizzare nell’ultimo frangente dei miei studi accademici, nel 2012, spinto dalla voglia di superare i limiti della superficie pittorica. Col tempo ho imparato a rendere questi lavori la mia cifra stilistica principale, affinandone l’aspetto compositivo e prendendo confidenza con i materiali impiegati.

Anche se negli ultimi anni mi sono accostato a media differenti (dalla scultura al collage digitale alla realtà aumentata), alla base della mia produzione c’è sempre la necessità di un confronto con i materiali. Materiali poveri, principalmente. Su tutti legno e carta.

 

Chi sono i tuoi punti di riferimento? La serie Grand Hotel Europa, in particolare, mi ha ricordato immediatamente la locandina di The Lobster, il film scritto e diretto dal regista greco Yorgos Lanthimos, che, a sua volta, mi ha portato a Christo e ai suoi impacchettamenti realizzati per mostrare ciò che è nascosto. Ci sono delle assenze presenti nelle tue opere?

Raramente mi affeziono a un artista. Ho sempre le antenne ritte, e assimilo immagini e informazioni in maniera onnivora. Un nome che mi è caro è sicuramente quello di Joseph Cornell: nelle sue opere c’è minuzia, attenzione per il dettaglio, poesia, senso del gioco.

 

Con i tuoi collage che mescolano passato e presente, individuale e universale, privato e pubblico, sembra quasi tu voglia scrivere una nuova storia dell’arte. Scendendo più nello specifico, in che modo approcci il dialogo che si va ad instaurare tra un’opera nota al grande pubblico e la ricontestualizzazione che le dai? Si tratta di subentrare in un discorso che c’è già, mantenendo coerenza e continuità, oppure c’è la necessità di imbastire una comunicazione altra che si serve del citazionismo di grandi capolavori al fine di trattare e approfondire tematiche più che mai attuali?

Il confronto con gli autori della tradizione è una costante del mio percorso, più evidente fino a qualche anno fa. Buona parte dei miei lavori del passato (collage e diorami) implicano un dialogo con opere iconiche dell’arte occidentale, e partono da una rilettura (spesso ironica) di molti capolavori storicizzati. Alla base di questo processo c’è la volontà di intendere la storia dell’arte come un gioco di corrispondenze. Se sfogli un libro di storia dell’arte e trovi un’immagine in grado di dirti qualcosa del presente a secoli di distanza dalla sua produzione, vuol dire che quell’opera è ancora viva. Io mi sono soffermato su questo sentimento, elaborando opere slegate dalla linea del tempo.

 

Alex Urso. Musée de l’Oubli – Eight collages by Monsieur G. Collage, 2014. Photo courtesy of Alex Urso

 

Alex Urso. A study on The Last Judgment of Hans Memling. Collage, 2015_2016. Photo courtesy of Alex Urso

 

Restando in tema, tra i tanti spicca un forte interesse verso le questioni sociali, gli aspetti marginali e le storie dimenticate messe spesso a confronto in maniera satirica con le più importanti istituzioni e potenze del mondo. Ti va di raccontarci qualcosa in più a riguardo?

Non credo di essere un artista propriamente “impegnato”, non nel senso comune del termine. Nel 2018 però ho intrapreso un progetto itinerante dal titolo Grand Hotel Europa, una riflessione sull’ascesa dei nazionalismi nei Paesi europei. Il lavoro ha toccato diverse nazioni, dalla Serbia alla Polonia, dall’Inghilterra a Malta. In ognuno di questi posti ho realizzato una serie di opere in risposta alla crisi politica e umanitaria che sta attraversando il “vecchio continente”.

Da qui la serie dei collage frutto della combinazione grafica tra la Refugee Nation flag (ovvero la bandiera scelta per rappresentare gli atleti apolidi alle Olimpiadi di Rio de Janeiro del 2016) e le bandiere dei singoli Stati che negli ultimi anni hanno dimostrato più di tutti tendenze nazionaliste e anti-europee; la raccolta di postcard d’epoca raffiguranti gli “Hotel Europa” che non esistono più; e la performance londinese dedicata agli zerbini con la scritta “Welcome”: una sorta di indagine “porta a porta” per provare il grado di apertura dei cittadini londinesi durante il periodo Brexit.

 

Alex Urso. Untitled (After Gericault). Collage, 2016_2018. Private collection. Photo courtesy of Alex Urso

 

Ricorrendo ad etichettature convenzionali utili a catalogare coloro che esperiscono temporaneamente o presenziano costantemente nel mondo dell’arte, ti si potrebbe definire artista, curatore, critico, fruitore. Ma come ti inserisci davvero in questo meccanismo? Qual è, se secondo te può essere delineata, la posizione reale di una figura ibrida come la tua?

Un tempo sentivo il fatto di lavorare su più fronti come un’arma a doppio taglio per il mio percorso. Avevo il timore che la gente non sapesse come definirmi. Ho aspettato, e giocato le mie carte con pazienza. Oggi sento che avere più risorse è un bene, se il valore di ciò che offri è provato dai tuoi progetti. Entro ed esco dalle categorie che citi con più consapevolezza e meno paura rispetto al passato.

 

Mi parli del tuo ultimo progetto, realizzato con l’archivio storico maltese Magna Żmien?

Si tratta di un progetto avviato nel 2020 e concluso lo scorso novembre con l’apertura della mostra Past Continuous – curata da Margerita Pulé e ospitata da Spazju Kreattiv – Malta’s Centre for Creativity di La Valletta.

Attraverso un confronto avviato con la fondazione Magna Żmien, sono stato invitato a valorizzare e attualizzare, rendendolo più accessibile al pubblico, un importante archivio storico di Valletta. L’obiettivo era trasformare il patrimonio visivo della fondazione in una serie di opere d’arte in grado di parlare al presente, e soprattutto alle nuove generazioni.

Per questo mi sono immerso nelle migliaia di foto e video d’epoca della collezione, in parte lavorandoci nel corso di una residenza di tre settimane presso il centro Valletta Design Cluster. Ho realizzato decine di sculture, proiezioni, diorami e collage in realtà aumentata sulla base di quel materiale iconografico. Il risultato è stato un grande “playground” che ha reso vivo e tangibile l’archivio, invitando il pubblico a interagire e a “giocare” con la memoria storica collettiva.

Credo che il progetto meriti molto. Le opere sono rientrate in Italia da pochi giorni, e sto sondando eventuali possibilità di collaborazione per il 2022: spazi e figure alle quali proporre il progetto così come già esposto, o città e archivi storici interessati a ripeterlo lavorando sulla memoria collettiva locale.

 

Alex Urso. Untitled (Past Continuous), 2021. Photo courtesy of Alex Urso

 

A quali altri nuovi progetti stai lavorando?

Lo scorso aprile ho inviato un progetto fotografico-performativo dal titolo Dipingere le nuvole. Si tratta di una riflessione sul lavoro dell’artista, e fa riferimento a una delle esperienze professionali che più hanno segnato il mio percorso passato. Per diverso tempo, prima e dopo l’accademia, ho pitturato case per mantenermi e portare avanti la mia ricerca. La comune narrazione della storia dell’arte ci ha abituati a una serie di cliché: dall’artista bohémien al vate, fino al più recente artista “manager di se stesso”. Ma è proprio tutto vero? Che lavoro fanno gli artisti, quando (non) sono artisti? Il progetto (attualmente in progress) presenta 365 immagini scattate quotidianamente e che punto a raccogliere presto in una installazione site specific.

 

Alex Urso. Dipingere le nuvole. Fotografia, 2021. Photo courtesy of Alex Urso

In copertina. Alex Urso. Dipingere le nuvole. Fotografia, 2021. Photo courtesy of Alex Urso

 

Ph. Credits: Alex Urso