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Lo squarcio:

luci e ombre nella pittura di Alessandro Giannì

 

Nel lavoro pittorico di Alessandro Giannì astratto e definito, reale e irreale sono incognite in un’equazione senza risultati certi. Lo abbiamo incontrato per conoscere da vicino la sua ricerca visiva e per farci raccontare i meccanismi e le pratiche che lo portano alla formalizzazione delle sue immagini.

 

Dipingere è l’atto artistico per eccellenza. Ricostruire l’immagine, restituire la sua composizione filtrata dalla mente umana, ri-assemblandola tramite canoni estetici di natura culturale è pratica millenaria. Il pittore è navigatore del reale e dell’irreale, astratto e definito sono incognite in un’equazione senza risultati certi. Alessandro Giannì (Roma, 1989) naviga acque incerte. La sua pittura si muove nel buio per cercare di aprire lo squarcio necessario al passaggio di una nuova luce. La rottura della coltre oltre cui lo sguardo non viaggia è la finalità di una ricerca che mette in contatto l’uomo e il suo potenziale superamento: l’intelligenza artificiale. Vasari, nome dell’AI progettata appositamente per Giannì, emula l’artista. All’artificio viene imposto l’ordine di pensare nel modo stesso in cui anche l’uomo farebbe. Decade la responsabilità del cogitare non perché ritenuta superflua, piuttosto perché potenzialmente contaminante. Il turbinio di forme e figure proveniente dalla selezione di immagini virtuali ricavate dal palinsesto della storia dell’arte è il risultato stesso di quell’anomala imposizione: nulla nella pratica di questo prelevamento può essere toccata da imperfezioni totalmente umane quali emozioni, umori, passioni e preferenze, che queste provengano dal conscio o dall’inconscio non è importante.

 

Alessandro Giannì, ritratto in studio, Ph Giorgio Benni, 2022.

 

Da dove nasce l’esigenza di partire dal digitale e tornare alla tradizione pittorica?

Nel 2011 ho iniziato a mescolare immagini attraverso rielaborazioni digitali, mentre contemporaneamente portavo avanti la mia pittura. Sperimentavo sulle foto pubblicate dagli utenti nei social network, prelevando alcuni frammenti e ricostruendo nuovi scenari e paesaggi per poi dipingere alcuni di questi su tela. Così ho continuato la sperimentazione prendendo altre immagini dalla rete, iniziando anche a fondere soggetti prelevati da opere della storia dell’arte, finché ho notato che quelle pitture, rielaborate digitalmente, assumevano un’identità ancora diversa. Così ho iniziato a dipingere su tela anche alcune di queste immagini e ho portato avanti questi lavori fino ad oggi, seppur in forme diverse.

 

Perché propio la storia dell’arte è diventato il bacino di riferimento da cui prelevi lei tue figure?

Il mio lavoro non comprende solo questo, ci sono diversi soggetti che non hanno a che fare con dei dipinti del passato, ma di base c’è quasi sempre un riutilizzo del frammento che poi diventa una componente del mio immaginario. Per quanto riguarda la storia dell’arte, suppongo che questo sia dovuto al fatto che ho iniziato ad approcciarmi alle grandi opere d’arte non tramite una percezione diretta, fisica, ma con internet, attraverso gli schermi dei computer e successivamente dei telefoni.  Quello da cui sono stato particolarmente attratto è la vibrazione dell’immagine stessa, fruita attraverso questi dispositivi. La pittura in questo caso assume altre sembianze: diventa come un nuovo strato di realtà. Penso che gli smartphone di oggi siano per noi qualcosa di simile ad una pala d’altare per i nostri predecessori: sono entrambi uno strumento per connettersi con qualcos’altro attraverso le immagini e allo stesso tempo sono in grado di ipnotizzare e stregare le persone. Quando dipingo soggetti provenienti da altri dipinti, non mi riferisco alle opere e ai suoi autori, ma più alla loro fruizione attraverso dispositivi che non appartengono all’epoca in cui sono state realizzate. Forse anche i miei lavori in futuro potranno essere fruiti con altre tecnologie ad oggi sconosciute e lí potranno assumere forme e significati che noi oggi ignoriamo completamente.

 

 

Che valore ha il tempo nel tuo lavoro?

Mi interessa l’idea del collasso temporale. Mi piace pensare che i miei quadri, se osservati senza conoscere il processo produttivo e l’artista, possano creare ad un primo impatto confusione rispetto al loro periodo storico di appartenenza. Nella mia pittura sono concentrati diversi modi di dipingere e diverse rielaborazioni, l’intento è quello di creare una sintesi della pittura stessa, mischiando tra loro cose apparentemente distanti ma identiche nella loro essenza, il tutto legato attraverso il segno e il gesto pittorico.

 

Nel tuo lavoro si perde orientamento sia nello spazio sia nel tempo. Pensi che l’atto dello smarrimento abbia importanza nel tuo modus operandi?

Il mio è un lavoro che inevitabilmente proviene da una progettualità che però in gran parte è fuori dal mio controllo. L’incognita ha un ruolo centrale nella mia produzione perché buona parte del risultato finale non dipende strettamente dalla mia volontà, ma nulla è lasciato al caso.

 

Oggi non mancano gli scetticismi rispetto all’attualità della pittura come mezzo espressivo, preferendo altre strade e altri linguaggi creativi. Tu come risponderesti a questa presa di posizione?

Quello che conta è creare un’opera che, col passare degli anni, possa assumere ancora più forza, che sia pregnante del suo presente, ma già connessa con il tempo a venire. Ovviamente non è il medium a determinare questo. A mio avviso, la grande arte è sempre stata la pittura e non è possibile superarla o andare oltre: al massimo, si può eguagliare. Ciò non significa che tutti gli artisti debbano dipingere o che un artista debba solo fare pitture per tutta la sua vita. Ci sono artisti che considero immensi e che non hanno mai utilizzato la pittura come mezzo espressivo, ma comunque, per me, non è possibile essere artisti visivi se si è estranei al linguaggio pittorico nell’approccio al lavoro. Pensare di andare oltre la pittura penso sia abbastanza inutile, perché la pittura è lo scheletro principale dell’arte e senza le ossa un corpo non è in grado di camminare, non so se mi spiego…

 

Lo vidi piangere fuoco, 2023, Ph Paolo Guerzoni

 

La selezione dei soggetti avviene casualmente per mano di un AI. Cosa cerchi di comunicare con questa scelta, una deresponsabilizzazione?

Non utilizzo l’AI per comunicare qualcosa, è semplicemente uno strumento che mi è funzionale per tirare fuori nuovi aspetti del mio lavoro. La selezione dei soggetti non è affatto casuale: ci sono una serie di interazioni tra me e l’AI, che ho denominato Vasari, come Giorgio Vasari. Il software è in grado di emulare il mio processo compositivo che precede le pitture. Io fornisco una serie di input per la creazione delle immagini e l’AI inizia a creare alcuni elaborati. Successivamente, posso modificare ulteriormente questi sketches digitali e una volta completato il processo, posso dipingerli ad olio su tela. Ho avuto quest’idea diversi anni fa, pensando ad un software che fosse in grado di assistermi nella creazione di immagini, ma ho potuto iniziare a lavorarci concretamente solo a partire dal 2019, grazie alla collaborazione con il creative studio Unboolean, che ha sposato la causa e ha iniziato a sviluppare l’idea nonostante un budget inizialmente ridotto. Sono d’accordo nel definire la mia scelta deresponsabilizzante, perché mi toglie, almeno in parte, dall’imbarazzo di decidere cosa dipingere, che forse è l’unico reale problema di un pittore. L’utilizzo dell’AI è un espediente per evolvere di pari passo la mia pittura ed è un processo che mi rende in qualche modo spettatore di me stesso: è come poter attingere delle immagini create da un altro me in un universo parallelo.

 

Due to the Image (Genesis), 2020, Ph Giorgio Benni.

 

La tua ultima mostra è stata presentata nella galleria Tang Contemporary Art di Bangkok. Cosa presenti?

La mostra a Bangkok, a cura di Giuliana Benassi e Michela sena presso la Tang Contemporary Art, si intitola “Breaking Darkness” e ha messo in scena uno strato di realtà più profondo dove non è presente né l’uomo né la macchina, ma solo l’immagine che irrompe nell’oscurità. Le opere contengono principalmente frammenti provenienti dalla storia dell’arte rinascimentale, che si sovrappongono tra loro, prendendo vita all’interno di questa dimensione in cui l’immagine vive al di fuori della percezione umana. In questo modo si distacca da qualsiasi significato e si manifesta nella sua essenza più pura, cioè una chiave in grado di creare e trasformare la realtà. Nella mostra sono presenti una serie di pitture realizzate tra il 2022 e il 2023 con l’ausilio dell’AI Vasari. La prima serie di questi lavori l’ho presentata nel 2021 da Postmasters Gallery a New York, esponendo anche i lavori del 2020, e oggi, nell’ultima mostra a Bangkok, è possibile vedere l’evoluzione di queste opere e osservare come l’approccio compositivo dell’AI sia cambiato di pari passo con la mia pittura e viceversa, perchè Vasari modifica nel tempo il suo modo di comporre elaborati e in questi anni di sperimentazione ci sono stati diversi cambiamenti. L’intelligenza artificiale crea senza ricorrere alle proprie emozioni, mentre l’arte e la pittura sono qualcosa di estremamente emotivo. Credo che il contrasto di queste due cose sia interessante e credo che anche la collaborazione tra umano e macchina lo sia, soprattutto nella misura in cui la macchina è funzionale a sviluppare il potenziale creativo dell’essere umano.

 

Che percezione hai il pubblico orientale del tuo lavoro?

Molto positiva, probabilmente anche perché la loro percezione non è troppo viziata dal peso dei soggetti classici e religiosi che si possono intercettare nelle mie pitture, che invece per la cultura occidentale diventano subito dei simboli con una connotazione molto ben definita che può limitare l’interpretazione del lavoro.  Contemporaneamente credo ci sia anche una grande fascinazione per una cultura diversa e per la pittura italiana.

 

Info: www.alessandrogianni.net