Art

Aches and Shame 

proposte internazionali in spazi indipendenti 

 

Spazio Rivoluzione riprende la sua attività espositiva con una mostra coraggiosa e viscerale che mette in luce, senza orpelli o filtri, il dramma psicologico e la decadenza verso cui la sofferenza umana verte inesorabilmente. 

Aches and Shame, a cura di Adalberto Abbate con un testo di Luisa Montaperto, ha aperto al pubblico il primo ottobre ed è visitabile su appuntamento fino al primo novembre 2021. Lo spazio espositivo, attivo dal 2018, dal carattere underground e dalla politica indipendente, è fondato e gestito da Adalberto Abbate ed è situato al piano terra di uno stabile che si affaccia sulla storica piazza Rivoluzione, a Palermo.

La mostra raccoglie i lavori di artisti internazionali del calibro di Paolo Canevari, Regina Josè Galindo, Urs Lüthi, Mario Consiglio, Federico Lupo, Diego Moreno e lo stesso Adalberto Abbate. Le opere suggeriscono le azioni e le intenzioni di una società improntata sulla violenza e sulla vulnerabilità raccontando il dramma sociale di un’umanità giunta al suo estremo limite.

Installazione, fotografia, video e una traccia audio condividono lo spazio espositivo decisamente poco canonico, instaurando un discorso corale riconducibile ad un’analisi del disagio sociale generatore di dolore e vergogna, sentimenti che tendono ad esasperare il dramma delle esperienze intime verso condizioni estreme quali rabbia o sofferenza. 

Regina Josè Galindo, artista e performer nata e cresciuta in Guatemala, è nota per il lavoro di denuncia contro il regime politico del proprio Paese e contro gli atti discriminatori verso le minoranze. Il lavoro dell’artista è approdato a Palermo in diverse occasioni: nel 2015 con la performance Raìces seguita dalla mostra antologica Estoy viva presso lo spazio Zac dei Cantieri Culturali alla Zisa, successivamente con una video performance prodotta nel 2017 da Documenta (Kassel) dal titolo La Sombra fruibile presso lo stesso Spazio Rivoluzione. Per Aches and Shame, l’artista guatemalteca presenta Aparición, una video installazione su un piccolo schermo verticale in cui in sequenza appaiono figure umane totalmente coperta da un velo azzurro. Monumenti viventi contro l’oppressione e la violenza, un atto di denuncia verso gli innumerevoli femminicidi avvenuti in Germania così come in ogni altra parte d’Europa e del mondo; figure impotenti, immobili come corpi statuari che si stagliano su un’anonima scena cittadina, in cui la vita continua a scorrere nell’indifferenza.

Terra di resistenza e di lotta ma anche di radicate usanze tradizionali, il Sud America è anche il luogo di nascita di un altro giovane artista in mostra, Diego Moreno; originario di San Cristobal de las Casas, in Messico, immortala due giovani nel giorno della comunione con i volti corrucciati e lo sguardo demoniaco, Cordero de Dios, una fotografia narrativa dal taglio cinematografico posizionata come un’icona russa.

La solitudine, lo stare al mondo, la scissione tra il sé e la necessità di rappresentare un altro da sé, sono i temi cardine del lavoro di Urs Lüthi, artista svizzero che sin dagli anni ’70 utilizza il corpo come medium d’espressione in un gioco costante tra l’essere e l’apparire. Nell’autoritratto in lacrime, Tears, Lüthi perpetua la ricerca sull’autenticità dell’identità e sugli stati emotivi, ricordandoci forse, come in una sua precedente citazione , “il limite sottile che intercorre tra la risata e la lacrima”.

Nel lungo processo per costruire e distruggere se stessi viene da chiedersi se la ricerca dell’identità non fosse essa stessa tra le fondamenta dell’inquietudine e della sofferenza, se si getta la maschera che la società ci attribuisce si rimane nudi. Nudi al cospetto di un Dio? Forse quello rappresentato dall’artista Paolo Canevari, leggibile scandendo le lettere nere ricavate dagli pneumatici affisse su una parete bianca e scrostata dello spazio; Canevari, i cui lavori entrano a far parte di importanti collezioni pubbliche e private tra cui il MoMa di New York, il Centro Pecci di Prato e il MART di Rovereto, predilige materiali già usurati come la gomma delle camere d’aria o l’olio motore ed è celebre per la creazione di sculture che scardinano l’idea di monumento eterno, interrogandosi spesso su tematiche politiche radicali, sessualità e su di una lettura critica e concettuale della religione.

Il lavoro di Mario Consiglio è una lettura lucida della società contemporanea traboccante di controversie, Le mie certezze non sono pacifiche, una frase netta dalla forte componente iconica persegue la coerenza tematica di matrice Pop e Concettuale dell’artista e l’attitudine a muoversi tra l’oggetto pittorico e l’oggetto scultoreo.

Federico Lupo recupera una vecchia segreteria telefonica registrata su cassetta, Incoming Message è il monologo di un anziano padre che ripetutamente compone il numero di un certo Doriano, dal tono intimo e confidenziale si intuisce essere il figlio. Dopo pochi minuti d’ascolto sembra di familiarizzare con la voce dimessa e nebulosa dell’anziano uomo, fino al sentirsi partecipe di un sentimento di impotenza di fronte alla sofferenza umanaTutti morti, il lavoro di Adalberto Abbate dal titolo inquietante quanto l’opera stessa, rimanda agli enigmi surrealisti, un’installazione che trascina dietro di sé un senso di angoscia dettato dalla visione di una mano che penzola dalla manica sinistra della pelliccia appesa. Un corpo vuoto, una mancanza, frantumi di ricordi messi insieme, la ricostruzione di una figura nella sua inesistenza materiale.