Art

2. Pastificio Cerere

Fra il sottosuolo e lo spazio emerso,

il secondo dei tre luoghi atipici dell’arte da visitare a Roma

 

Nel cuore del quartiere San Lorenzo sorge quello che una volta era il Pastificio Cerere, una delle più antiche fabbriche di pasta e farina fondata nel 1905.

In disuso dal 1960 questo interessante edificio in via degli Ausoni, inizia a riprendere vita quando l’imprenditrice Felicina Ceci decise di affittare i locali ad alcuni giovani artisti, conosciuti con il nome di Gruppo San Lorenzo. Qui gli artisti instauravano con il luogo un rapporto simbiotico e continuo.

La Fondazione Pastificio Cerere nasce nel 2005 per volontà del suo presidente, Flavio Misciatelli. È così che negli anni il Pastificio diventa una vera e propria fucina di riferimento per la cultura, la cui ideologia alla base è quella dell’operare, del fare attraverso un terreno culturale comune.  Un hub culturale in cui la sperimentazione si intreccia con le vicende della città, dialogando attraverso l’arte.

La mostra presente al momento della visita è Prima Madre (Gennaio/Marzo 2022), di Sara Basta a cura di Cecilia Canziani e Costanza Meli.

Le opere si dividono seguendo due percorsi diversi: lo spazio emerso, quello all’interno del Silos, in cui l’artista racconta un percorso di ricerca personale attraverso fotografie, schizzi a china e tessuti; il sottosuolo, quello dello Spazio Molini, le cui opere corrispondono al ricordo della propria origine.

Varcando il Silos fin da subito fotografia, disegno e scultura tessono luoghi ed incontri della fragile bellezza del quotidiano.

“La mia casa è mia madre perché è la prima casa che ho abitato. […] Guardarla mi collega a qualcosa di antico, al legame della mia famiglia con il mare che mi porto sempre dietro. Riesco a sentire il caldo della sabbia e una calma e un calore mi riempiono il corpo.”

Così racconta il testo accanto la prima fotografia esposta, che introduce il tema cardine della circolarità del tempo. La nascita e la morte si ricuciono attraverso la ricerca nella memoria. Il tempo vissuto viene scomposto nelle sue ripetizioni e dà vita alla serie Antenate, composta da due fotografie e tre sculture. Si tratta di maschere i cui tratti sono tracciati a memoria: imperfezioni, frammenti, particolari. Una volta indossate restituiscono una dimensione mnestica incarnata, come suggeriscono le curatrici.

“Continuo ad interrogarmi sui legami. […] Essere dentro e fuori. Non voler essere ne dentro né fuori. Sentirsi sempre nello spazio sbagliato, nella scelta che alimenta il dolore. Ogni volta un abbandono, nella presenza e nell’assenza.”

Il racconto del dolore accanto alla fotografia della madre, ci conduce allo Spazio Molini in cui si racconta come la ricerca delle radici possa essere percepita soltanto attraverso la crescita e la trasformazione. E’ nel sottosuolo che le ultime opere in mostra articolano il nesso corpo-casa-linguaggio. Fotografia e disegni vengono accompagnati da un’installazione sonora in cui l’artista ha documentato lo sgretolarsi del linguaggio materno che lascia spazio alla costruzione di un nuovo linguaggio, quello del proprio figlio.

Una corrispondenza continua della vita che si trasmette a un’altra vita, il ricordo del sottosuolo e il continuo cambiamento dello spazio emerso.

 

Courtesy Fondazione Pastificio Cerere.