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Intervista a Daniele Cascone

di Ettore Pinelli

 

Daniele Cascone, classe 1977, è nato a Ragusa, vive e lavora a Ragusa.

Artista digitale e fotografo. Ai suoi esordi sperimenta parecchio, mescolando tecniche digitali con strumenti tradizionali. Nel 2008 il mezzo fotografico diventa predominante nella sua ricerca artistica, per la quale si avvale dei set in studio dove poter mettere in scena le situazioni che caratterizzano le sue opere.

“La sua è una costante ricerca di un equilibrio tra impulso creativo e tecnica di esecuzione, necessaria per esplorare temi come l’uomo, l’esistenza, il subconscio e il simbolismo.”

Lo abbiamo intervistato in occasione della sua mostra personale “Daniele Cascone | fotografie”, presentata da Giuseppe Cicozzetti, presso la Fototeca Siracusana a Siracusa (6/26 Aprile 2019).

 

Chi è Daniele Cascone? Presentati brevemente

Una persona con difficoltà a descriversi. Potrei definirmi un individuo ossessionato dal produrre immagini. Alcuni mi identificano come “fotografo”, altri come “artista”. Accolgo entrambe le definizioni, così come accetto che possano non appartenermi.

 

Dai tuoi esordi la tua opera si è gradualmente trasformata. Dalle contaminazioni analogico/digitali dei primi anni, alla fotografia a colori, attraversando un lungo periodo di bianco e nero: cosa è cambiato nella tua ricerca?

Sono cambiato io. Ciò che produco è legato al mio modo di decifrare quello che mi circonda e alle nuove esperienze che vivo.

Al tempo stesso, sono aperto a qualsiasi cosa possa tornarmi utile. Non mi pongo dei limiti o delle regole da seguire; adesso c’è la fotografia, ma non escludo che in futuro possa farmi contaminare da altri mezzi espressivi.

 

Come immagini una tua opera? Qual è il passaggio dalla tua mente al set che costruisci in studio? So che abitualmente utilizzi il disegno per fissare delle idee da sviluppare successivamente, è una scelta interessante.

Quasi ogni opera nasce con degli schizzi su carta, poiché spesso le idee richiedono di essere fissate in modo rapido. Questa prima fase, molto lunga, è affiancata dalla preparazione di oggetti di scena e dallo studio di luci e inquadrature. Poi arriva lo scatto, che richiede poco tempo ma tanta concentrazione: è una lotta tra ciò che è stato progettato e ciò che l’istinto suggerisce sul momento.

Valuto con calma gli scatti realizzati, spesso disegnandoci sopra in digitale, come a continuare gli schizzi iniziali; è necessario per rendermi conto dei volumi degli oggetti, delle forme del corpo umano e degli errori da correggere. Così, con le idee più limpide, scatto tutto daccapo.

È un processo lungo, fatto di ripensamenti e cambi di direzione. Le prime sessioni fotografiche sono in genere le più difficili; una volta chiarite le idee, vado spedito.

 

La tua opera è ricca di simboli e dal carattere fortemente onirico. Sarebbe interessante scavare dentro la tua simbologia, i tuoi materiali, e capire quali modelli scegli. Vorrei conoscere i motivi per cui rappresentare “se stessi” è più stimolante che rappresentare il mondo esterno.

Credo che siano certi argomenti a scegliere me e non viceversa. I miei interessi spaziano in molti campi: arte, musica, cinema, letteratura, storia, viaggi, sport. Mi cimento in prima persona con tante di queste discipline e spesso mi appassiono a cose lontane dal mio punto di vista.

Tuttavia non saprei dire perché, tra i tanti temi esplorati, è lo sguardo puntato all’interno a essere rappresentativo del mio lavoro. Suppongo che, banalmente, sia l’esigenza atavica di comunicare un’interiorità dove anche gli altri possano confrontarsi. Il pensiero più forte e appassionante che coltivo è voler decifrare la mia natura.

 

Vorresti parlarmi dei tuoi video?

Il video mi affascina, è un approccio diverso dalla fotografia e mi aiuta a staccare dal lavoro logorante della sala pose. Tuttavia non mi ritengo un videoartista, è un mezzo che ho esplorato poco e che mi piacerebbe approfondire, al quale non ho dedicato la dovuta concentrazione.

I miei cortometraggi sperimentali sono l’espressione di ossessioni visive, da me ritenute più adatte da rappresentare con delle immagini in movimento. Sono idee, a volte accennate, legate a paure, gesti e rituali che mi rimbalzano in mente. Esprimono forse il lato più istintivo, intimo e confuso di me.

 

Brain Twisting e Reflectiva sono due tuoi progetti paralleli, il primo ormai chiuso, il secondo attivo, quali volontà stanno dietro alla scelta di mantenerne uno e far decadere l’altro? 

Sono due progetti che appartengono al passato; Brain Twisting è nato in un periodo in cui il web muoveva i primi passi e si respirava quell’aria “pioneristica” nel divulgare le nuove forme d’arte che si scoprivano grazie alla rete. Era un web magazine indipendente, slegato da ogni logica commerciale, mosso dalla passione mia e dei numerosi collaboratori. Sono stati otto anni intensi e di formazione, ma la mole di lavoro per gestire un progetto del genere non era indifferente. Con l’avvento dei social network, che imponevano una rielaborazione totale del modello e della filosofia di Brain Twisting, ho dovuto scegliere se proseguire ancora o dedicare più tempo alla mia ricerca artistica. Ha vinto la seconda opzione.

Reflectiva è un photoblog nato per svago, una palestra dove ho affinato il mio interesse per la fotografia, pubblicando sperimentazioni e reportage di viaggio. Pur avendo poco a che fare con la mia produzione artistica, è stato importante quando ho deciso di utilizzare la fotografia come mezzo principale per la realizzazione delle mie opere.

 

La tua mostra personale alla Fototeca Siracusana, presentata da Giuseppe Cicozzetti, è definita una “mostra portfolio”, quali cicli di opere sono presenti per dare la visione più esatta della tua ricerca attuale?

Si tratta di dodici pezzi appartenenti a due serie di lavori: “The lonely peolple”, del 2011, e “The inner room”, del 2016. Nell’arco di quegli anni ho realizzato altri cicli di lavori, tutti accomunati dagli stessi temi, e le due serie esposte rappresentano l’inizio e la fine di quella ricerca. In particolare, la serie più vecchia è stata uno spartiacque nel mio modo di progettare e intendere la fotografia.

Mi rendo conto di come questa mostra chiuda un capitolo della mia vita, che è stato importante, per aprirne uno nuovo, in cui ho la necessità di guardare e pensare a un diverso tipo di fotografia.

 

Hai progetti a breve termine di cui ci vorresti parlare?

Giorno 27 aprile, nel mio spazio a Ragusa, si terrà il terzo appuntamento di Studio [2], un progetto itinerante che apre gli studi degli artisti al pubblico. Ho fin da subito abbracciato la filosofia fresca, informale e originale che sta dietro a questa serie di eventi. Nello specifico, insieme alle mie fotografie, ospiterò le opere di Adriano Savà, autore che fa della trasfigurazione dell’immagine il punto focale della sua ricerca.

 

In copertina: Daniele Cascone – Conversation, 2011 – cm 46×80.