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GAME OVER #2

ON/OFF delle coscienze

 

Se si cerca la definizione di simbolo si trova, come significato attuale: “Segno corrispondente a contenuti o valori”. Invece la sua accezione originaria è:

[…] con riferimento all’uso dell’antica Grecia, il mezzo di riconoscimento che si otteneva spezzando irregolarmente in due parti un oggetto, in modo che il possessore di una delle due parti potesse farsi conoscere facendole combaciare.

Entrambi i significati sono in realtà attuali. I simboli sono portatori di una determinata visione del mondo che viene condivisa da un delimitato gruppo di persone le quali, grazie a tale segno di riconoscimento, si riconoscono tra loro e si sentono unite.

Quindi i simboli sono la manifestazione sintetica e formale di un discorso valoriale complesso e, allo stesso tempo, un marchio di appartenenza.

La riflessione adesso è: quando diventano potenti? Risposta: quando diventano allegorie, cioè quando i valori che rappresentano si percepiscono come nazionali o, addirittura, universali.

Se i valori fossero del tutto costruttivi sarebbe meraviglioso, purtroppo però la tendenza rispecchiata non è mai stata né tutt’ora è questa. I simboli che volevano “diventare grandi” e maturare in allegorie erano e – purtroppo – sono quelli dei nazionalismi, del fascismo, del nazismo.

Maria Wasilewska, artista polacca, nata nel 1971 e residente a Cracovia, riflette con video, installazioni e site specific, sul potere che questi simboli storici stanno tornando ad avere, attraverso i social e i media in generale, e su come l’arte può usarli a proprio vantaggio per disinnescarli.

La personale “Game over”, già edita in Polonia nel 2018 e portata a Milano quest’anno, presso la galleria Amy-d |Arte Spazio, mostra un video in cui i singoli simboli nazionalisti, tracciati in nero, si sciolgono perdendo quasi del tutto la loro riconoscibilità. Quest’ultimo stadio di decomposizione formale viene ripreso da sculture in acciaio nero, internamente cave, riempite di olio motore bruciato.

Così i simboli prendono forma tridimensionale e occupano una buona porzione di spazio fisico ma sono appena riconoscibili, così decomposti. Avvicinandosi ci si può (ri)specchiare in questi black mirrors, entrando senza accorgersene nella doppia metafora visiva ideata da Wasilewska: i valori che questi simboli incarnano sono confusi, melmosi; il loro ingrediente più consistente è essenzialmente rancore: nocivo in modo direttamente proporzionale a quanto si sta estendendo. Chi si ci (ri)specchia è impantanato nel sentimento di frustrazione a macchia d’olio derivante da problemi per i quali è difficile stabilire delle cause precise e, di conseguenza, per i quali trovare soluzioni non è affatto semplice ma è possibile.

Di fronte a questa consapevolezza i presunti valori si sciolgono e allora si può prendere posizione scegliendo di accendere le coscienze o di non farlo, stavolta però consapevolezza. Quest’ultima scelta è resa fisica dagli interventi site specific in neon rosso deciso: ON e OFF sono posti ognuno in due stanze confinanti e il visitatore può scegliere di entrare nell’una o nell’altra.

Photo editor di Veronica Tremolada