Il mondo (ir)reale di Filippo La Vaccara e Roberto Covi
Nel 1988, nell’allora Cecoslovacchia, esce il film Qualcosa di Alice di Jan Švankmajer, regista tra i capostipiti della “nová vlna”, uno dei movimenti più significativi della storia del cinema cecoslovacco. Il film reinterpreta la storia di Alice nel Paese delle Meraviglie tramite una personalissima e fortissima componente surrealista: continuamente in bilico tra sogno e realtà, Alice si trova protagonista di situazioni grottesche – una versione stramba, un po’ comica e un po’ paurosa, della vita quotidiana (gli stessi personaggi classici della storia di Alice, ad esempio il Brucaliffo o il Cappellaio Matto, non sono altro che degli oggetti comuni, come uno schiaccianoci o un calzino con attaccati degli occhi finti, ma “riconfigurati”).
Il cinema di Švankmajer amplifica la propria componente onirica tramite l’uso distintivo di bambole, giocattoli e burattini: in una delle sue prime opere, Punch and Judy (1966), troviamo due marionette, mosse tramite dei fili, combattere in un duello all’ultimo sangue per ottenere la custodia di un porcellino d’india.
La caratteristica del regista cecoslovacco è presentare vita di tutti i giorni, i bambini e gli animali, con forme inusuali – elemento che dal filone della nová vlna arriva all’arte contemporanea e che, seguendo percorsi misteriosi, si può ricollegare alle immagini fotografiche create da Roberto Covi a partire dalle sculture di Filippo La Vaccara. In questa serie fotografica inedita di Covi, presentata per la prima volta a Balloon Project, le opere dell’artista infatti, muovendosi tra performance, scultura e pittura, concretizzano un’indagine della realtà che si snoda tra mondo reale e mondo fantastico: come sarebbe la percezione di noi stessi e del mondo se i nostri volti fossero delle enormi teste di cartapesta? Le “teste-scultura” indossate dai performer divengono un medium per cambiare la prospettiva su ciò che nella vita sembra comune e ordinario, sottolineando quell’ambiguità tra ciò che appare e ciò che è (o può essere), tra mondo reale e mondo fantastico.
L’entità enigmatica delle testone, che ricordano le marionette del teatro di figura ma anche delle maschere, sfidano lo spettatore a cambiare il proprio punto di vista sull’ordinario, spingendolo a riflettere sulla propria concezione di cosa sia “altro da sè”, ma anche sulla vera natura delle cose e di sè stessi: simulacri di uomini, donne, bambini, una volta indossate rendono il performer sia burattino che burattinaio allo stesso tempo, permettendogli di vivere situazioni surreali e ironiche (ad esempio il video PEOPLE AND PIZZA, realizzato in collaborazione col regista Danilo Torre, in cui i personaggi si incontrano in un’area che ricorda un parco cittadino portando delle pizze, dando il via a una serie di interazioni sociali).
L’ossessione per l’apparire e per il giudizio altrui che contraddistingue la nostra società diviene punto di partenza per creare un mondo alternativo, dove la vera autenticità è la “finzione” della commedia antica, caratterizzata da dei “tipi” precisi di personaggi (ma del resto la nostra “autenticità” non è altro che una maschera che indossiamo nella società).
Nel momento in cui vengono “attivate” e si muovono nell’ambiente, la destabilizzazione che può provocare nel pubblico l’atto di “indossare” queste teste, o di vederle indossate, ricorda le reazioni che suscitava nella gente il teatro popolare, dove attori in carne e ossa recitavano insieme a burattini e personaggi mascherati, utilizzando una peculiare forma narrativa basata su un linguaggio dei segni con cui mimavano la realtà, ma allo stesso tempo la sovvertivano rendendola anche oggetto di satira sociale.
Anche l’incontro fruttuoso con il fotografo Roberto Covi – fotografo attivo nel campo dell’alta moda e del design – risuona di un’aura quasi “magica”: Covi, mentre passava per una piazza, rimase ipnotizzato dal vedere casualmente questi singolari personaggi passeggiare, durante la realizzazione di uno dei video che li vede protagonisti. Come racconta Covi stesso, questo lavoro è un processo in divenire, in cui è stato fondamentale guardarsi dentro, ascoltando le proprie voci e le proprie emozioni: così da due tipi di visioni diverse, quella dell’artista e quella del fotografo, scaturisce un unico sguardo intimo e poetico su cosa sia la diversità, sul rapporto con l’altro e su quanto ciò porti ricchezza. Anche il passaggio tra le immagini in bianco e nero e quelle a colori può essere interpretato come un cambio di prospettiva sulla realtà, mostrandone tutta la sua natura cangiante e multiforme.
Come l’Alice di Švankmajer, che dopo una lunghissima discesa nella tana del bianconiglio si ritrova in un mondo capovolto, anche davanti a queste immagini lo spettatore diviene parte integrante di un universo simile al nostro, ma in cui ha finalmente smesso di negare di indossare delle maschere, in quanto la “maschera” è la vera chiave per capire la realtà.