Design che resiste
Alla Maker Faire 2025, IED Roma trasforma gli arredi in rifugi antisismici
Progetti open-source, sostenibili e intelligenti per ambienti scolastici, pubblici e domestici. Il design diventa strumento di protezione.
IED Roma porta alla Maker Faire 2025 una serie di arredi antisismici in grado di offrire rifugio durante un sisma. Oggetti quotidiani che diventano strutture salvavita, grazie a un percorso formativo e progettuale condiviso con il CNR-IBE.
Progettare per salvare vite
Dal 17 al 19 ottobre, nell’area S del Gazometro Ostiense, gli studenti del terzo anno in Product Design IED Roma presentano prototipi di arredi antisismici capaci di trasformarsi in strutture di protezione. Il progetto nasce da una collaborazione con il CNR – Istituto per la BioEconomia, e si ispira al sistema LifeShell, una tecnologia open-source sviluppata per garantire sicurezza durante i terremoti.
«L’obiettivo era chiaro: chiedere ai ragazzi di progettare oggetti ordinari con un potenziale straordinario, capaci di proteggere vite umane. Hanno risposto con grande maturità e consapevolezza», racconta Mauro Del Santo, docente e coordinatore del progetto.
Tavoli, letti, banchi e scaffali diventano dispositivi multifunzionali: solidi, esteticamente curati, ma soprattutto in grado di resistere a forti sollecitazioni strutturali, offrendo rifugio in caso di crolli.
Connessioni oltre la sicurezza fisica
Oltre alla protezione meccanica, i progetti affrontano il tema della comunicazione durante l’emergenza. Alcuni arredi includono aperture visive e sistemi acustici che permettono il contatto tra persone anche se separate fisicamente.
«Progettare connessioni emotive – continua Mauro Del Santo, docente e coordinatore del progetto -è stata una sfida centrale. In situazioni di panico o isolamento, anche un piccolo foro può diventare un ponte. Un banco scolastico traforato, ad esempio, consente ai bambini di vedersi e sentirsi. È un gesto semplice, ma può fare la differenza», spiega Del Santo.
Nel corso del laboratorio, gli studenti hanno discusso a lungo su come un oggetto possa influenzare le emozioni in un momento critico. C’è chi proponeva forme accoglienti per trasmettere calma, chi preferiva geometrie più razionali per evitare disorientamento. «Sono stati momenti di forte confronto, anche acceso. Ma proprio da queste tensioni è nata una straordinaria energia creativa», ricorda il docente.
Una simulazione concreta e partecipativa
Lo stand IED includerà anche una pedana vibrante che simula un terremoto. I visitatori potranno testare alcuni modelli 3D in tempo reale e costruire piccole strutture con pezzi progettati dagli studenti per comprendere le basi dell’edilizia antisismica.
«Non volevamo solo esporre prototipi, ma offrire un’esperienza diretta. Far sentire il terremoto, toccare la resistenza, vedere la reazione del materiale, è il modo migliore per far passare il messaggio», sottolinea Del Santo.
L’idea è anche quella di raccogliere feedback da un pubblico eterogeneo. «Il confronto è parte del processo. Ogni commento – spiega Mauro Del Santo, docente e coordinatore del progetto – può migliorare il progetto, renderlo più inclusivo, più utile. Questo è il design che ci interessa: aperto, dialogico, in continua evoluzione».
Un design aperto, etico, condivisibile
Tutti i progetti sono open-source: liberamente riproducibili, senza brevetti. Si fondano sull’utilizzo del legno X-LAM, scelto per la sua leggerezza, resistenza e sostenibilità. Il CNR vanta un’importante esperienza nell’impiego di questo materiale in edilizia, e il sistema costruttivo è pensato per essere adottato da scuole, enti locali e aziende.
«Abbiamo scelto di non chiudere il progetto in una logica proprietaria. La conoscenza che può salvare vite va condivisa. È un atto civile, prima ancora che tecnico», afferma Del Santo.
Il docente sottolinea anche quanto la collaborazione con i ricercatori del CNR abbia arricchito l’intero processo: «Per noi designer, lavorare con ingegneri e scienziati è una miniera d’oro. Abbiamo imparato moltissimo e costruito un percorso condiviso, senza ruoli gerarchici ma con un obiettivo comune: unire saperi per rispondere a bisogni reali».
Verso una cultura del progetto consapevole
Il vero valore di “Design che resiste” sta nella sua natura formativa. Gli studenti, accompagnati da docenti e ricercatori, hanno affrontato un tema difficile, carico di responsabilità e implicazioni sociali. Un’esperienza che ha lasciato il segno.
«Non è stato solo un progetto didattico. È stato un esercizio di responsabilità civile. Abbiamo chiesto ai ragazzi di immedesimarsi in situazioni limite, e di trasformare questa consapevolezza in oggetti concreti. Non è facile immaginare qualcuno sotto le macerie… ma il design, se fatto bene, può anche questo», conclude Del Santo.
Alla Maker Faire 2025, IED Roma racconta una nuova idea di innovazione: non solo digitale, ma profondamente umana. Dove anche un tavolo può diventare un rifugio. Dove progettare significa proteggere.
Leggi l’intervista completa al docente Mauro Del Santo
Giuseppe Mendolia Calella: Che tipo di approccio progettuale avete chiesto agli studenti? In che modo avete stimolato la loro consapevolezza rispetto all’impatto sociale del design?
Mauro Del Santo: IED promuove un metodo progettuale pratico e concreto, aperto ma molto organizzato: si parte sempre dall’analisi di esigenze reali e dall’individuazione di problemi concreti da affrontare. Da lì si sviluppa l’intero percorso creativo che porta alla definizione di proposte progettuali, successivamente approfondite e verificate attraverso prove e prototipi, e momenti di confronto con esperti e committenti, nel nostro caso, i ricercatori del CNR‑IBE.
Riconoscere il ruolo del design anche nel suo impatto sociale è uno dei principi fondanti del nostro lavoro: ogni progetto nasce con questa consapevolezza. È un tema che accompagna la formazione dei nostri studenti fin dal primo laboratorio, fino alle esperienze progettuali più avanzate, perché riteniamo che il designer debba sempre sentirsi responsabile del proprio lavoro nei confronti della società e dell’ambiente, in qualsiasi contesto.
Quali competenze trasversali hanno dovuto sviluppare i ragazzi per affrontare un tema come questo? Ha notato un cambiamento nel loro modo di progettare durante il percorso?
«La capacità di integrare competenze diverse è un requisito fondamentale per chi vuole intraprendere una carriera nel design. Un buon progetto nasce sempre dall’incontro e dalla contaminazione tra saperi differenti. Tuttavia, la sfida più complessa per un progettista emerge quando il progetto richiede di riconoscere e integrare competenze che non possiede direttamente, una condizione frequente soprattutto nei contesti altamente tecnici o ad alto livello di innovazione.
Proponiamo ai nostri studenti esperienze come questa proprio per spingerli a muoversi all’interno di tale complessità e comprendere come sviluppare i propri progetti in dialogo con professionalità diverse, in questo caso, con ingegneri e ricercatori del CNR. È un processo impegnativo e tutt’altro che lineare: non si tratta, come si potrebbe pensare, di ricevere un progetto tecnico da un ingegnere per poi “renderlo bello”, né del contrario, cioè immaginare qualcosa di nuovo aspettandosi che un tecnico la renda realizzabile.
Il progetto nasce invece da un dialogo continuo e multidirezionale, uno scambio dinamico che costruisce il risultato passo dopo passo. Potremmo definirlo un processo di intercreatività: un percorso di co‑costruzione creativa delle soluzioni. La vera competenza del designer risiede proprio nella capacità di guidare questo processo, mettendo in relazione persone, strumenti e saperi diversi per dare forma a progetti integrati, innovativi e belli.»

Accessori da tavolo di Samuele Armenia. Contenitore borraccia, lampada con batteria per blackout, ganci con fischietto integrato.
Ha un aneddoto o un episodio particolare che racconta bene lo spirito con cui gli studenti hanno affrontato questo lavoro?
«Durante il primo incontro dedicato alla discussione delle idee di progetto… abbiamo tutti litigato.
Parlando di emergenza e di come il design potesse intervenire, sono emersi molti punti di vista, spesso in contrasto tra loro. C’era chi proponeva forme morbide e accoglienti, pensate per trasmettere calma, e chi invece sosteneva che in una situazione di panico quelle stesse forme avrebbero potuto generare ancora più disorientamento. C’era chi criticava soluzioni troppo sofisticate o costose, rivendicando principi di essenzialità e funzionalità, e chi si preoccupava delle implicazioni visive e strutturali: come inserire strutture solide in ambienti quotidiani?
È stato un dibattito acceso, probabilmente acuito anche dalla delicatezza del tema. Come progettisti cerchiamo sempre di immedesimarci in chi utilizzerà i nostri oggetti, ma immaginare qualcuno sotto le macerie non è un esercizio semplice, può scuotere molto.
Proprio questa tensione emotiva, però, è diventata il motore del progetto: ha spinto i ragazzi a impegnarsi con grande serietà e partecipazione, trasformando il confronto in una straordinaria energia creativa. E i risultati si sono visti: il loro lavoro è stato selezionato dallo IED per rappresentare l’Istituto alla Maker Faire, un riconoscimento che racconta bene lo spirito con cui hanno affrontato tutto il percorso.»
Il progetto si ispira al sistema LifeShell del CNR‑IBE. In che modo la collaborazione col CNR ha arricchito il processo progettuale?
«Vista con gli occhi di un designer, il CNR appare come una realtà straordinaria con cui poter collaborare. Lavorare insieme a ricercatori con una preparazione tecnica così approfondita è, per noi, come trovare un filone d’oro: una risorsa preziosa di idee, tecnologie e conoscenze capaci di offrire soluzioni concrete a molti dei problemi che, da soli, spesso non potremmo affrontare.
Il progetto LifeShell nasce da un’intuizione di Marco Fellin, che ha immaginato di utilizzare un materiale da costruzione già studiato e sperimentato dal CNR in edilizia, per un uso alternativo e socialmente utile. Quando ci siamo incontrati e discusso del progetto, abbiamo subito capito che una collaborazione con IED poteva essere molto fruttuosa.
Il primo prototipo di LifeShell era sorprendente per robustezza e potenzialità, ma mostrava la necessità di un ulteriore livello di progettazione: quello tipico del designer, capace di integrare aspetti estetici, funzionali e contestuali. Da questa consapevolezza condivisa è nata la collaborazione: un percorso aperto, senza obiettivi già fissati, fondato sulla ricerca congiunta e sul dialogo tra competenze diverse.
Il risultato è stato duplice: da un lato, nuove proposte progettuali che ampliano la visione originaria di LifeShell; dall’altro, un’esperienza formativa di altissimo valore, che ha permesso a studenti e docenti di confrontarsi con un vero processo di ricerca interdisciplinare, mettendosi alla prova con impegno e maturità.»
Perché avete scelto il materiale X‑LAM? Quali sono i suoi punti di forza in un contesto di emergenza sismica?
«Il materiale X‑LAM è stato scelto dai ricercatori del CNR‑IBE e rappresenta il cuore del progetto LifeShell. Il nostro contributo si è concentrato sullo sviluppo di nuovi concept di design, partendo dal loro prototipo iniziale e mantenendo gli stessi principi costruttivi per proporre soluzioni nuove, versatili e integrabili in contesti diversi.
La ricerca si fonda sulla scelta di un materiale che unisce caratteristiche di lavorabilità, modificabilità, riparabilità e riciclabilità a fine vita. Il CNR di Trento ha una lunga tradizione nell’utilizzo dell’X‑LAM, e in Italia esistono già stabilimenti capaci di produrre i pannelli necessari, anche grazie al fatto che i piani costruttivi sono rilasciati in modo libero, senza brevetti, sotto licenza Creative Commons CC BY 4.0.
Dal punto di vista tecnico e ambientale, l’X‑LAM presenta vantaggi significativi rispetto ad altri materiali, soprattutto nei contesti di emergenza sismica: è leggero ma resistente, e un tavolo in X‑LAM può sopportare il crollo di una porzione di edificio a un costo e peso inferiori rispetto a strutture in acciaio.
Inoltre, l’X‑LAM è composto da abete rosso, un legno comune e rinnovabile, proveniente da foreste gestite in modo sostenibile, dove la quantità di legno prelevata è sempre inferiore a quella che il bosco rigenera. Il suo impiego contribuisce a ridurre l’impronta ecologica complessiva del progetto, offrendo una risposta concreta e sostenibile alle sfide ambientali e sociali del nostro tempo.»
La pedana vibrante è una simulazione realistica? Cosa sperate di apprendere da queste prove partecipate?
«Le fiere come la Maker Faire sono luoghi straordinari per sperimentare e provocare riflessioni. Allo stesso tempo, possono essere dispersive: per questo, è fondamentale adottare modalità che coinvolgano davvero il pubblico.
Il piano vibrante che simula il terremoto nasce con questo obiettivo. Insieme agli studenti abbiamo progettato dimostratori interattivi da utilizzare sulla pedana, per spiegare in modo chiaro e accessibile i principi dell’edilizia antisismica. I visitatori potranno anche costruire piccole strutture, posizionarle sul piano e verificarne la resistenza.
Attraverso questo “gioco” vogliamo raccontare come sono nati i progetti esposti e rendere visibile l’importanza della ricerca applicata quando si affrontano temi cruciali come la sicurezza e la resilienza degli spazi costruiti.»













