Art

Active Shooter

L’arte di Ryan Mendoza: tra avanguardia pop americana e richiami barocchi

 

Era il primo dicembre del 1955 quando Rosa Parks di ritorno a casa su un autobus si sedette nell’unico posto libero dietro alla fila riservata ai bianchi. Il conducente le chiese di alzarsi e mettersi sul fondo, ma si rifiutò. Quel gesto le causò l’arresto e il carcere, fu però l’inizio di una lotta contro la discriminazione razziale.

Varusa, una ragazza africana che vive a Berlino, è la protagonista di una video-performance che la vede seppellita sotto un tappeto. Si vede solo il suo volto e si sente il suo respiro: è in attesa di essere svelata, di essere salvata. Varusa è il simbolo di una generazione che ancora risente di quelle discriminazioni di cui fu vittima Rosa Parks e diventa il cuore pulsante della mostra dell’artista americano Ryan Mendoza: Active Shooter, visitabile fino al primo marzo.

Più che un artista, un pittore: i suoi tratti distintivi sono un cappello da cowboy e un giubbino macchiato di colore. L’incontro con Gianluca Collica, curatore della mostra, è fondamentale per dare voce a una personale che non solo esibisce un percorso irriverente e rivelatorio di un’America demitizzata dall’artista, ma è anche un racconto di quelle «pagine della storia che mancano, delle tradizioni spezzate».

Gli ambienti della Fondazione Brodbeck che la ospita si trasformano nelle stanze di una dimora, di una casa, quella del pittore, ma soprattutto dell’uomo americano.

“Creare una casa perfetta” è il perno su cui si muove la riflessione di Mendoza, un tema ricorrente della sua attività ed eco della sua memoria; così come quella di Rosa Parks che viene smontata dall’artista e rimontata a Berlino, come la casa delle bambole che la madre amabilmente curava nei suoi ricordi.

Dopo un ictus che fa da motivo propulsore all’ideazione, la pittura lo conduce alla ricerca di una visione intimistica all’interno delle mura della tipica home sweet home e della sua cultura contraddittoria. Il mito americano viene ribaltato e sgretolato.

Il pittore, vestendo i panni di un burlone, si fa gioco ironicamente dello spettatore e schizza il suo universo fatto di maschere e di supereroi. Il gesto si concretizza in un video che coglie l’artista nell’atto di sparare letteralmente della vernice sul corpo nudo di una donna con l’uso di una pistola ad acqua. L’erotismo si fonda con il pittoricismo, questa è una delle chiavi di lettura della produzione di Mendoza che veste i panni di un active shooter: modo di dire americano ambivalente per indicare sia il folle che armato spara addosso ai ragazzi nelle scuole, sia il divertimento dei bambini con le pistole giocattolo.

Grandi tele dominano con i loro vividi colori le pareti dei due padiglioni principali, creando un contrasto accattivante. Si tratta di opere realizzate nell’arco di tempo di sette anni (dal 2012 al 2019) e prodotte tra la Germania e la Sicilia, di cui ai dipinti si affiancano video e lavori in ceramica.

Vi si espongono soggetti legati alla memoria dell’infanzia dell’artista, rielaborati in una visione provocatoria e dissacrante della cultura pop americana, e lavori che manifestano il rapporto problematico tra la moglie-musa e l’artista. La sua donna che non vuole più essere d’ispirazione.

Gli sguardi delle “Muse” fissano lo spettatore invitandolo a soffermarsi sul messaggio che l’accompagnano. Ritornelli come twinkle twinkle invitano a risvegliarsi dal sogno americano, da quel mondo dei supereroi dei comics che illudono a un modello di vita da emulare. I volti degli eroi non sono nient’altro che maschere dietro cui si cela una verità che Mendoza grida a chiare lettere. Eroi, forse antieroi.

L’allestimento riesce bene a esplicitare lo stesso iter pittorico dell’artista in cui si alternano il corpo sinuoso della donna, la vera musa, e quello dell’uomo culturista, la nuova musa, che si carica di un forte valore simbolico. Esso è il simbolo di una mascolinità evidente ma tramutata poi in icona gay. Come ci spiega Mendoza: «Sono passato dal dipingere le donne a dipingere gli uomini, ma non persone che conosco, sono gli uomini del mio passato. Quando ero bambino io guardavo i supereroi, volevo diventare come loro e ammiravo anche gli uomini culturisti in quanto simbolo dell’uomo assoluto. È molto interessante notare però che il culturista appare sotto la categoria di gay interest ed il discorso si allaccia alla questione dei generi fluidi. Nei miei dipinti l’uomo culturista è il cracker, nome con cui i neri indicavano l’uomo bianco: crack è onomatopeico e allude appunto alla frusta con la quale i bianchi torturavano i neri. Io qui voglio raccontare una storia narrata dal mio punto di vista di uomo bianco, ma mostrando una verità che l’America tiene volutamente ben nascosta». Di questa parte della storia c’è anche George Washington, che il pittore rappresenta tramite la sua casa. «In Crackers 3 dipingo la casa di Washington. La sua casa inserita in quel contesto dà una lettura tristemente ironica perché l’edificio ha un valore economico molto più elevato di quello di Rosa Parks, nonostante è riconosciuto che Washington fosse uno schiavista».

La narrazione della storia comune s’intreccia parallelamente con quella personale soprattutto in quegli spazi della fondazione che si trasformano in quinte di una scena teatrale. Lo spettatore è completamente assorbito dalla visione di dipinti raffigurati entro carte da parati baroccheggianti che ne fanno da sfondo, come fossero quadri appesi sulle mura di una villa siciliana settecentesca. L’inganno della cultura barocca si sposa con quella americana e ne fa da struttura portante. Mendoza riesce arditamente a creare una contaminazione di linguaggi, unendo citazioni dai cartoons Disney e figure seducenti. Ritorna ancora, infatti, il corpo della donna non più florido, segnato dall’età, immaginazione di un futuro proiettato dal pittore.

Un’operazione performativa di riscatto e di rivincita è realizzata a Dagala, paese alle pendici dell’Etna dove Mendoza si è trasferito. Il pittore prende in mano il suo mantello e si traveste in nuovo supereroe pronto al recupero di una società lasciata all’incuria.

Al cromatismo accesso bastito da una pennellata materica si contrappone una serie di ricche cornici in ceramica prive di specchio. Il pensiero ultimo di Ryan è di provare a guardare meglio quel mondo dove esistono tante maschere ma pochi volti.

 

In copertina: Ryan Mendoza Active Shooter – Courtesy Fabia Mendoza

 

Photo credits per le immagini dalla 01 alla 08, Abbruzzese Studio

Photo credits per l’ immagine 09, Fabia Mendoza