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  Intervista a Lorenzo Madaro

 

Lorenzo Madaro, classe 1986, originario di Campi Salentina, in provincia di Lecce, professionista nel mondo dell’arte contemporanea: critico d’arte, curatore, giornalista, docente di Storia dell’arte e Fenomenologia delle arti contemporanee all’Accademia di Belle Arti di Lecce. Dopo la laurea magistrale in Storia dell’arte ha conseguito il master di II livello in Museologia, museografia e gestione dei beni culturali all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. È critico d’arte dell’edizione romana de “La Repubblica” e collabora con Robinson e Artribune. È direttore artistico del progetto europeo CreArt. Network of cities for artistic creation per il Comune di Lecce. Tra le mostre recenti curate: “Under pressure” di Baldo Diodato (castello di Copertino, Lecce 2019/2020); “Umberto Bignardi. Esperimenti visivi a Roma (1964-1967)” (Galleria Bianconi, Milano 2020).

 

Chi è Lorenzo Madaro? Ci parli brevemente di lei.

“Faccio cose e vedo gente”. E cerco di stupirmi ogni giorno, soprattutto per le piccole cose.

 

Da quanto tempo si occupa d’arte in qualità di curatore, critico, operatore culturale e qual è stato il suo iter formativo e lavorativo?

Sostanzialmente da sempre, quando ero studente all’università curavo già le prime mostre, scrivevo sulle pagine pugliesi di Repubblica e su alcune riviste d’arte contemporanea. Ho studiato Storia dell’arte all’Università del Salento e Museologia in Cattolica a Milano, ma è stato senz’altro il lavoro sul campo, soprattutto quello con gli artisti di varie generazioni, a incidere sul mio reale processo formativo. La curatela dell’arte contemporanea non si può mai sintetizzare in un paradigma univoco, poiché riguarda ambiti anche molto distanti tra loro, pertanto è obbligatoria una formazione sul campo, passo dopo passo, concentrandosi perennemente sulla dimensione del fare. Ed è uno dei punti di forza di questo lavoro, nato da una passione ossessiva, che mi appartiene da sempre, da quando ero un ragazzino. È un mestiere che si impara giorno per giorno, quindi obbliga a reinventarsi costantemente. Oggi insegno – e ne sono molto felice perché il dialogo con gli studenti è un esercizio quotidiano, soprattutto in una fase, come quella attuale in cui la direzione è affidata ad Andrea Rollo, con cui stiamo immaginando e realizzando bellissime prospettive – Storia dell’arte all’Accademia di Belle Arti di Lecce, scrivo soprattutto sulle pagine romane di Repubblica e su Robinson e Artribune, e collaboro con il Museo Castromediano di Lecce, dove negli ultimi anni con Luigi De Luca e Brizia Minerva abbiamo messo in piedi un programma espositivo dedicato ad artisti misconosciuti ma carichi di forza in termini di ricerca e immaginario. Ma tutto questo – l’insegnamento, il giornalismo e tutto il resto – a mio dire rientra nell’ambito della curatela, una curatela che è plurale, costante, persistente. “Don’t stop don’t stop don’t stop”, come dice un gigante come Obrist!

 

È direttore artistico del programma europeo “CreArt. Network of Cities for Artistic Creation”. Di cosa si tratta?

Da sette anni dirigo il progetto per conto del Comune di Lecce. CreArt è un network di oltre dieci città europee, in questi anni abbiamo prodotto mostre, residenze d’artista e talk con alcuni artisti anche a Lecce, condividendo esperienze, progettando momenti di riflessione su ricerche e visioni degli artisti contemporanei, valorizzando soprattutto il momento di crescita dei giovani artisti.

 

Recentemente ha co-curato con Pietro Copani, la mostra “Under pressure” di Baldo Diodato, presso il castello di Copertino (Lecce). Si tratta di un’esposizione d’arte contemporanea che entra in contatto con un happening, nel quale i protagonisti sono l’artista, gli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Lecce e la comunità dei visitatori-cittadini. Quanto è importante per lei sperimentare?

La mostra, promossa dal Polo museale di Puglia del Ministero dei beni culturali, è nata appositamente per il Castello di Copertino grazie all’impegno della direttrice del polo, Mariastella Margozzi, e del direttore del castello Pietro Copani. Insieme a loro, sono molto grato alla generosa progettualità di Diodato. Baldo è un mio compagno di strada, è tra i primi artisti che ho conosciuto e con cui ho dialogato sin da quando ero studente. Studiavo a Lecce e francamente l’arte contemporanea era decisamente latitante nella programmazione didattica dell’università, fatta eccezione per il classico corso da manuale liceale. Il mio lavoro con Repubblica, le mostre e, soprattutto, il dialogo con gli artisti mi hanno consentito di lavorare concretamente quando ero ancora uno studente. Pertanto non ho mai avvertito quel vuoto che alle volte si respira tra la laurea e l’avvio della professione. Sperimentare cosa vuol dire? Se l’arte contemporanea è un dispositivo che sollecita la sperimentazione, le metodologie non possono fare altro adeguarsi a questo ritmo serrato. Sperimentarsi vuol dire anche reinventarsi costantemente. Ma sperimentare vuol dire anche mediare, tra gli artisti e le comunità. Perciò a Copertino con Pietro Copani ho subito immaginato un dialogo serrato, ma graduale, tra il lavoro di Diodato e il contesto, attraverso il coinvolgimento attivo degli studenti dei licei della città e dell’Accademia di Belle Arti di Lecce. Baldo è stato così entusiasta che ha donato, sollecitato da me e da Pietro Copani, un grande lavoro al castello.

 

Il suo ultimo progetto curatoriale: la mostra “Umberto Bignardi. Esperimenti visivi a Roma (1964-1967)”, presso la Galleria Bianconi di Milano. Ce ne parla?

Grazie a Renata Bianconi, che si occupa del suo lavoro da molti anni, nel passato ho avuto più occasioni per dialogare, e lavorare, con Umberto Bignardi, artista straordinario. La mostra realizzata in Galleria Bianconi a Milano si concentra su quattro specifici anni, assolutamente densi di indagini sperimentali e contrassegnati per una attività espositiva intensa, in contesti oggi ritenuti imprescindibili per la lettura delle vicende italiane e internazionali di quello specifico periodo. Ci si riferisce soprattutto alla sua collaborazione con L’Attico di Fabio Sargentini, la galleria italiana più celebre, anche in America, degli anni Sessanta per la sua vocazione avanguardistica. E proprio a questo irripetibile periodo sarà dedicato il talk tra Bignardi e Sargentini che si svolgerà nel corso della mostra in galleria. In mostra soprattutto grandi opere su cristallo e tela, un significativo nucleo di tecniche miste su carta e due opere – Fantavisore del 1965 e Rotor del 1967 – oggi considerati due capisaldi non solo del suo lavoro, ma all’intero della storia della storia dell’installazione e del cinema espanso d’artista. Opere e documenti editi ed inediti, provenienti dall’archivio personale dell’artista, compreso l’epistolario con Germano Celant, Mario Schifano e Claudio Cintoli, ricostruiranno filologicamente questa fase dell’indagine di Bignardi, anche grazie a un catalogo, edito per l’occasione, con testi inediti e un’antologia critica.

 

In copertina: Baldo Diodato, Under Pressure, Castello di Copertino. Ph. Beppe Gernone – Polo Museale di Puglia.